Nuovi locali e soprattutto un nuovo clima. Dopo la chiusura delle librerie, il Vomero ha cominciato a rinascere. E oggi è un quartiere vivo, anche di sera.
La collina dei broccoli
Quando inaugurarono le fermate vomeresi della Linea 1 in molti pensarono che ci sarebbe stato un passo indietro per il quartiere. Che la folla non avrebbe significato migliore qualità della vita, ma solo “ammuina”. Il Vomero non è mai stato concepito come quartiere di ritrovo, al contrario di Chiaia, ma come piccolo centro commerciale, per alcuni un luogo persino elitario. Una differenza che negli anni è aumentata con la scomparsa di luoghi storici come il Bar Daniele e lo spuntare di innumerevoli mister “Patata fritta”.
La risalita dopo la chiusura delle librerie
Negli ultimi tempi, il vento è cambiato. Forse il punto più basso è stata l’assenza anche di una sola libreria. Sparita Guida. Sparito Loffredo. Fnac si è convertito. E anche la chiusura del cinema. Arcobaleno. Poi, però, la lenta, progressiva, risalita. Oggi di librerie ce ne sono cinque. La prima a invertire il trend fu Iocisto.
Basta farsi una passeggiata nell’ormai consolidata isola pedonale vomerese. Ci si imbatte in centinaia a e centinaia di persone, anche in tempi lontani dal Natale. Tanti negozi sono cambiati, molti cinesi hanno chiuso (anche se altri stanno aprendo). E soprattutto si percepisce un fermento diverso. In tanti realizzano progetti nati da idee originali. Da vomeresi, ci siamo imbattuti in alcune di queste. Molte ce ne sono ancora da scoprire e lo faremo.
Cominciamo un viaggio attraverso luoghi e sapori, ma soprattutto persone, perché è proprio lì che sta la differenza.
«Uno dei migliori professionisti al mondo sostiene che dirigere un locale è come dirigere un film. C’è un regista che è il responsabile della gestione dei lavori e che sa dove si deve andare e come. E ci sono gli attori, ovvero i suoi collaboratori, che devono conoscere il ruolo da interpretare e sentirsi coinvolti nel lavoro e un pubblico che è la clientela alla quale ci si rivolge».
Opera, più che un bar: una finestra sull’Europa
Così racconta il suo lavoro Vincenzo D’Agosto. Potremmo definirlo il direttore di Opera che ha due locali al Vomero, l’ultimo aperto in via Luca Giordano al confine con piazza degli Artisti. Enzo e Guido, due storie che si incontrano per dare vita ad un’idea, un “ritrovo”. «Il termine bar non rende, non ha senso, – spiega ancora Enzo – o meglio ha senso a Napoli, ma Napoli in fondo è una città piccola. Il bar è un luogo di ritrovo. È l’ospitalità che è centrale, qualsiasi cosa si faccia. La differenza la fa la passione delle persone che ci lavorano».
Opera è aperto sedici ore al giorno dalla colazione al dopo cena, attraversando l’ora del the e dell’aperitivo. Non è solo l’arredamento che colpisce – decisamente europeo – o il poter acquistare prodotti di qualità come pasta o aceto balsamico in un “bar”, le commistioni non sono più una novità. Ma l’atmosfera rilassata e frizzante che ti trascina lontano come se fossi in un bistrò a Parigi o un cocktail bar a Londra, o anche in Austria.
«Bisogna regalare un sorriso ai clienti»
È un locale che riflette la storia di Enzo che ha lavorato in giro per l’Europa prima di tornare e incontrare Guido Guida e Ciro Zambardino. Guido, stanco di fare il commercialista, dopo notti insonni trova la sua strada nell’aprire il primo Opera insieme all’amico di sempre Ciro. «Il segreto è nei dipendenti che incontro sulla mia strada, non c’è stato un dipendente che non si sia votato alla causa per trasformarla in una missione che poi è quella di regalare il sorriso ai clienti». Quando sono in vena, a Opera ti servono l’acqua anche solo per il cornetto. Commovente.
L’importanza dei fondi europei
Tutto è partito grazie ai fondi Europei che sono fondamentali per dare sostegno all’avvio di un’impresa, ma il concept inizialmente era completamente diverso. Il primo progetto era un franchising, un bar come tanti. «Sembrava quasi una tabaccheria – spiega Guido – poi Enzo ci ha messo le mani e in punta di piedi trasforma tutto».
«Non avrei mai potuto portare avanti qualcosa di omologato come un franchising – si inserisce Enzo – io sono quello che mentre tutti in paese facevano il corso, imboccava la strada secondaria. Alla fine mi accorgevo che le persone mi seguivano perché capivano che la mia era una scelta e che c’era un perché».
«Questo locale a piazza degli Artisti è la sintesi di quattro anni di lavoro su Napoli, di tutto quello che abbiamo imparato da quando abbiamo aperto il primo. Ci piacciono le sfide – conclude Guido – perciò non siamo a via Scarlatti ma verso Antignano, perché un locale come il nostro lo devi scegliere, sentire tuo».
Bufalè, locale che valorizza il territorio
Nascono “bar” al vomero, ma anche locali dove mangiare al volo qualcosa che sia buono e che faccia anche bene. Questa è la scelta compiuta da Francesca Nasti e Vincenzo Cascone per Bufalè, un takeaway in via Francesco De Mura – a due passi due da via Lica Giordano – dove si cucina carne di bufalo.
«Eravamo alla ricerca di un’idea nuova che non fosse alla moda ma facesse anche bene – racconta Vincenzo -. Ci siamo guardati intorno e abbiamo optato per una scelta territoriale. Abbiamo scelto il bufalo perché ha tante proprietà nutritive ed è buonissimo».
I liquori con latte di bufalo
Dall’hamburger di bufalo, alle polpette per arrivare al gelato e ai liquori sempre con latte di bufalo. Un’unica materia prima, ma in numerose varianti, che ha richiesto un lungo lavoro di ricerca e numerosi assaggi in giro per la Campania. Francesca ha percorso tanti chilometri alla ricerca dei prodotti migliori e originali. «Siamo partiti dal bufalo per costruire tutto il nostro menù e adesso abbiamo perfino la pastiera fatta con la ricotta di bufala. È stata una ricerca meticolosa dei prodotti ma anche delle persone. Perché lavorare con persone che amano quello che producono è fondamentale».
Un locale che nasce da un’idea diversa ma anche da una motivazione. Francesca e Vincenzo non sono due ragazzi in cerca di un primo impiego. Avevano voglia di mettersi in gioco e soprattutto di restare in contatto con le persone e con loro creare qualcosa di diverso. Hanno aperto da relativamente poco, ma senza perdere tempo hanno cominciato a relazionarsi con gli altri commercianti per provare a cambiare faccia alla zona. «Siamo in una zona più periferica del Vomero rispetto a via Scarlatti – spiega Vincenzo – ma proprio per questo ha maggiori potenzialità ed è meno omologata, senza dimenticare che ovviamente i fitti sono più accessibili e consentono ad un’attività di potersi avviare».
«Abbiamo smosso quell’atteggiamento di rassegnazione»
«Ora si è instaurato un bel rapporto con i vicini – racconta Francesca –. All’inizio, quando andai a parlare con loro con l’obiettivo di rendere più viva la strada e attirare le persone, non erano convinti. Così abbiamo cominciato da soli. Abbiamo chiamato qualcuno per cantare per strada e fare in modo che i potenziali clienti non fossero solo persone di passaggio. L’iniziativa ha funzionato ed ha convinto anche gli altri. Abbiamo organizzato insieme cose nuove e diverse per il periodo di Natele. Mi piace di aver smosso l’atteggiamento rassegnato che c’era da queste parti».
Il futuro
Di progetti e idee ce ne sono tante per trasformare e far crescere il Vomero. E per dargli, perché no, anche un’attrattiva turistica. Non ci sono molti musei come al centro storico, né gallerie d’arte. M,a non serve andare lontano per trovare l’anima di un posto e trasmetterla. Uno degli ambiziosi progetti sarebbe quello di assecondare proprio l’anima più antica del Vomero. Che una volta si chiamava “la collina dei broccoli” e trasformare il borgo di Antignano in un mercato gastronomico sullo stile del “San Miguel” di Madrid o del Viktualienmarkt di Monaco di Baviera.