Le linee guida del Ministero per aiutare l’utente a non sprecare troppe energie in un museo alla ricerca della direzione giusta.
Iniziando a sviluppare alcune riflessioni sui problemi di orientamento che generalmente si pongono ai visitatori dei musei, la mia mente non ha faticato ad indirizzarsi verso una scena memorabile di uno dei più celebri film di Totò e Peppino, i quali, appena sbarcati a Milano, si rivolgono ad un “generale austriaco” (in realtà, un “ghisa” milanese) per ottenere delle indicazioni stradali e poter raggiungere il luogo desiderato.
Il tema dell’orientamento nei musei può essere considerato un sotto-insieme del più generale ambito di analisi della comunicazione museale interna, argomento che mi è particolarmente caro e che, in più di una occasione, ho avuto la possibilità di studiare, anche su incarico del Mibac(t), negli anni passati.
Occorre preliminarmente rilevare che questa problematica si pone, in modo diverso, nei musei di grandi dimensioni rispetto a quelli di dimensioni più contenute. Nei primi, infatti, la maggiore estensione può facilmente provocare un senso di disorientamento spaziale (dove sono ora? quale direzione devo seguire per raggiungere l’opera X, la sala Y, il punto di vendita o l’uscita?) tipico dei grandi spazi pubblici – come aeroporti, stazioni ferroviarie o centri commerciali – che può produrre effetti negativi sulla qualità dell’esperienza di visita nonché sull’efficacia del processo di apprendimento. Nei piccoli musei, la minore ampiezza della superficie espositiva rende meno frequente la possibilità che il visitatore avverta questo disagio, anche se è comunque possibile che si registrino delle difficoltà analoghe, ad esempio nel cercare di individuare uno specifico oggetto di interesse, all’interno della collezione permanente.
Appare infatti chiaro che il problema dell’orientamento si pone nella misura in cui un individuo abbia la necessità di recarsi in un luogo o di seguire un percorso (cioè, una successione di luoghi) e non sappia come fare.
Ciò può accedere per diversi motivi: a) perché nel punto nel quale egli si trova non ci sono indicazioni testuali o simboliche che lo possano indirizzare; b) perché le indicazioni presenti non risultano adeguatamente visibili; c) perché le indicazioni presenti non risultano sufficientemente chiare.
In un museo, gli strumenti tradizionali a supporto dell’orientamento del visitatore sono di tipo cartaceo – le cartine e le mappe, distribuite generalmente in forma gratuita all’inizio del percorso espositivo – o vengono resi in forma simbolica, cioè con palette e/o cartelli recanti una o più segni grafici che segnalano il percorso da seguire, come accade per la segnaletica di sicurezza che indica le vie di fuga in caso di incendio. Meno diffusa nei luoghi della cultura è invece la segnaletica orizzontale, posta sul pavimento, con linee di colori diversi che guidano l’utente verso zone differenti del contesto spaziale nel quale si trova.
Il Mibact considera questo aspetto della comunicazione museale come un fattore di grande importanza e, recentemente, ha pubblicato le Linee guida per la comunicazione nei musei, a cura di Erminia Scicchitano e Cristina Da Milano, un testo che offre una pluralità di interessanti indicazioni non solo sulle modalità di progettazione e realizzazione della segnaletica interna, ma anche delle didascalie e dei pannelli di sala.
A tali strumenti, negli ultimi anni si sono aggiunte ulteriori soluzioni, di tipo tecnologico: penso, in particolare, ai dispositivi mobili dotati di sistemi di orientamento (way-finding), in grado di individuare in modo automatico la posizione dell’utente all’interno dello spazio museale e di guidarlo verso il luogo prescelto, analogamente a quanto accade con i sistemi di navigazione in uso nelle autovetture. Queste soluzioni, dovendo funzionare in luoghi chiusi, non possono però ricorrere al segnale Gps, per cui occorre che sussistano condizioni tecniche specifiche che permettano il funzionamento di un sistema di orientamento indoor.
Ciò detto, va osservato che il tema dell’orientamento è rilevante per un museo per diversi motivi, in primo luogo considerando l’aspetto della fatica fisica generalmente associata all’esperienza di visita, che si ritiene tende a crescere con l’aumentare dell’età dei visitatori. Visitare un museo è infatti, prima di tutto, un’attività che richiede un impegno fisico, che influisce peraltro sulla soglia di attenzione del visitatore e, quindi, sul suo processo di apprendimento; non è un caso, infatti, che nella parte finale dell’esperienza di visita si registri – generalmente – un minor livello di attenzione e, quindi, una più ridotta propensione del visitatore a reagire agli stimoli comunicativi che il museo attiva nei suoi confronti, rifluendo in comportamenti di fruizione più rapidi e superficiali
Un sistema di segnaletica interno poco efficiente, insieme alla (inspiegabilmente cronica, nel caso italiano) mancanza di sedie e punti di sosta all’interno delle sale, può dunque generare una diminuzione del livello di soddisfazione complessivo associato alla visita di un museo.
dal blog opzionecultura