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Murales Maradona, la famiglia Filardi: «Mario era un artista, merita un posto dove riposare in pace»

Murales Maradona, la famiglia Filardi: «Mario era un artista, merita un posto dove riposare in pace»

Sono pochissime le notizie a disposizione su Mario Filardi, classe ’67, il ragazzo dei Quartieri Spagnoli che disegnò il murale Maradona in via Emanuele De Deo, restaurato nel weekend scorso dal falegname Salvatore Iodice. Tutto ciò che vi abbiamo raccontato finora su questo giovane artista sono i ricordi di chi, nel ’90, all’epoca del secondo scudetto del Napoli, data a cui risale il disegno del Pibe gigante, era un ragazzo come lui e partecipò, anche con la sola presenza, all’impresa straordinaria di quei giorni.

Per saperne di più abbiamo incontrato la famiglia di Mario a casa sua, nel cuore dei Quartieri Spagnoli: la mamma Carmela e la sorella Teresa, 47 anni, di due anni più piccola di Mario.

«Mario adorava viaggiare – ci racconta Teresa – La prima volta che andò via da Napoli aveva diciotto anni. Andava e veniva, lavorava come cameriere nei grandi alberghi, quelli a cinque stelle, faceva il capo sala. Gli facevano contratti di sei mesi, perché non aveva il visto, così quando scadevano, prima che glieli riconfermassero, tornava a casa. È stato in Svizzera, a Saint Moritz, dove lavorava al Palace Hotel. Andò lì perché aveva un cugino che lo ospitava. Poi ha passato quattro anni a Londra; è stato a Madrid, in Spagna, si è fermato dieci anni a Francoforte, che adorava. Poi venne la crisi e se ne andò in Svizzera, a Zurigo, dove pure aveva un appoggio. È stato anche a Sydney, gli piaceva girare il mondo». Viaggiando, Mario imparò da autodidatta diverse lingue: «Conosceva lo spagnolo, l’inglese, il tedesco, sia scritto che parlato. Poco prima di morire stava facendo anche un corso di giapponese, si era fissato che voleva conoscere il giapponese», racconta Teresa.

La sorella ci dice che nel quartiere lo amavano tutti moltissimo, che quando tornava a Napoli a volte non si ritirava a casa per giorni perché venivano a cercarlo da tutta la città per farsi fare disegni e tatuaggi: «Era un simpaticone, uno sempre disponibile, rispettoso verso tutti, amava la vita, era innamorato dell’arte». Il suo talento di artista si era manifestato sin da bambino, pur non essendoci nessun altro, in casa, con quella vena: «Era autodidatta, non ha studiato. Si era scritto alla scuola di Belle Arti ma diceva che non gli piaceva, che era troppo schematica, che lui doveva creare».

La famiglia racconta di quando, in occasione di un Capodanno, si riunirono tutti, insieme agli amici del quartiere, in una casa sfitta per il veglione e Mario disegnò sui muri delle immagini bellissime. Oppure di quando l’amico Ernesto vinse il primo premio ad una festa per il trucco che aveva sul viso: Mario lo aveva dipinto come un clown americano. Mario fu anche uno dei primi a fare i tatuaggi con la lametta, tutti colorati. Il fratello mostra orgoglioso quello che ha ancora sul bicipite sinistro, da ormai ventisei anni. «Veniva gente dappertutto. Ogni volta che tornava a Napoli venivano a cercarlo. I ragazzini si compravano i giubbini di jeans e lui gli disegnava sopra Dragon Ball con i colori indelebili che comprava al centro storico, ci sono ragazzi ormai adulti che conservano ancora il loro giubbino – racconta Teresa – Io avevo le minigonne di jeans e i jeans con le farfalle dipinte sul sedere da lui. Uniche». Ci racconta anche, orgogliosa, che Mario fu l’autore, nel 1993, della maggior parte di disegni di animali che adornano il parco dei divertimenti di Conny Land, a Zurigo.

Teresa dipinge il fratello come un ragazzo molto avanti rispetto ai suoi tempi, sia nelle creazioni artistiche che nella cura che aveva per il suo corpo: «Negli ultimi anni di vita si rasava i capelli perché non gli piaceva il fatto che gli iniziassero a cadere. Era palestrato, ci teneva, si curava i denti, amava mantenersi in forma. Andava a correre sul lungomare tutti i giorni in pantaloncini. Ricordo che i ragazzi lo prendevano in giro perché era fissato sul fisico. Adesso, invece, lo fanno tutti». Un giovane dall’intelligenza vivissima: «Sai come andava a scuola? Non si portava i libri, solo un quaderno e una penna, e veniva sempre promosso. Teneva le cervella», racconta la sorella.

All’estero Mario lavorava sodo come cameriere: «Qua non gli piaceva stare, perché non si sentiva realizzato dal punto di vista lavorativo, mentre all’estero anche facendo il cameriere poteva guadagnare bene e svolgere il lavoro in modo dignitoso, non come qui, che se fai il cameriere devi pure lavare a terra e pulire i gabinetti».

In mezzo a tutto questo, l’impresa del murale. «Il disegno lo fece tutto da solo – dice Teresa – Sulla base di una piccolissima fotografia di Maradona. Fu una cosa grande. Era tifosissimo di Diego. Quel murale è nato per onorare Maradona perché ci aveva fatto vincere due scudetti. Un capo delle Teste Matte, soprannominato Bostik, organizzò la colletta di quartiere per realizzarlo e coordinò i ragazzi che da sotto lo aiutavano, ma la realizzazione fu interamente di Mario, l’artista fu lui». L’iniziativa nacque in modo spontaneo, racconta mamma Carmela: «Quando vincemmo il secondo scudetto, tutti i ragazzi tifosi del Napoli, capitanati da Bostik, vennero a chiamare Mario perché era bravo e gli chiesero di fare il disegno. Lavorò per due notti e tre giorni, lo aiutarono tenendo i fari delle macchine accese per illuminare il muro mentre lui disegnava. Stava su quell’impalcatura precaria e io stavo sotto a guardare, senza neppure riuscire ad andare a dormire, perché avevo paura che cadesse lui e gli cadesse tutto addosso. Chiedeva il permesso ogni tanto di andare a fare pipì, per il resto gli portavo io la merenda. Qualcuno gli passava i colori, qualcun altro organizzava le impalcature, ma fece tutto lui. Molti di quei ragazzi non ci sono più, come Carmine, il suo amico, detto Pappagone, che è morto pure lui, ma il quartiere partecipò tutto: Carmine gli fece compagnia per tutto il tempo, lo aiutava, gli andava a prendere i tubi Innocenti. Mario fece una cosa enorme. Se vedi la foto ha il viso stanco, si ammazzò per fare il murales». Mi mostrano la foto che ritrae Mario, ventenne, sull’impalcatura appoggiata al muro dove sta prendendo vita il Pibe gigante. Guarda verso l’obiettivo con gli occhi appannati dalla stanchezza: «Guarda il rosa del viso – indica Teresa – sembra pelle vera, e le pieghe della maglietta, vedi come erano? Quello che aveva fatto Mario era proprio Maradona in persona. Non fece i piedi perché il muro non arrivava fino a terra ma la gamba piegata ricordo che aveva la scarpetta». Alla fine del murales il quartiere sparò i fuochi di artificio e organizzò una festa per celebrare l’impresa. «Hanno apprezzato Mario all’estero, soprattutto, venne un giornale dalla Spagna e uno americano, vennero a intervistarlo, c’erano le sue foto sui giornali, peccato che non li trovo più», racconta Carmela.

Poi, all’improvviso, spuntò quella finestra abusiva: «Successe sette otto anni dopo, in una notte, d’estate. Quando la mattina dopo le persone trovarono la finestra “arrevotarono” il quartiere. Si ribellarono per quell’apertura nella faccia di Maradona. Proprio là la dovevano aprire? Non si potevano prendere le misure e farla un po’ più in là? La cosa più brutta fu quando la vide Mario – racconta Teresa – Ci rimase malissimo. Si riprometteva, un giorno, di rifarlo. Aveva anche pensato di ridipingere la faccia sulla tapparella, ma lavorando fuori non aveva tempo, non era qua in pianta stabile che poteva trovare il supporto di qualcuno, noi siamo persone che non hanno molto, non potevamo sovvenzionare quella impresa da soli».

Abbandonato per trent’anni, il murale si era quasi tutto cancellato: «Quando il Napoli ha iniziato a vincere di nuovo, i ragazzi ci hanno pensato e lo hanno rivalutato, perché qua vogliamo lo scudetto – continua Teresa – Così è arrivato Salvatore, a chiederci se ci faceva piacere lo restaurasse. È stato carino a chiedercelo, quello è un pezzo di mio fratello. Salvatore ha fatto una cosa che ha fatto ricordare la memoria di Mario, mi fa piacere. Quando l’ho visto che riprendeva colore mi sono emozionata. Gliene sono grata. Però voglio ricordare anche Mario, il merito che ebbe nel dipingerlo la prima volta, a mano libera, così perfetto. Mi piacerebbe che mettessero sotto al murale la firma completa di Mario Filardi, per indicare l’autore. Solo le iniziali con la scritta Bostik accanto non si capisce, sembra che Bostik sia il soprannome di Mario: Bostik fu l’organizzatore, Mario fu l’autore del murale». E con Ciro, l’attuale proprietario della finestra, ci avete parlato? «Certo, Ciro è un bravissimo ragazzo, non gli piaceva quella finestra, lui non avrebbe mai permesso che si deturpasse Maradona».   

L’ultimo disegno firmato da Mario a Napoli è stato l’immagine di una donna bellissima a Santa Lucia, nella bottega di parrucchiere di Patrizio Spinelli, una donna con la testa reclinata all’indietro, le scarpe con il tacco a spillo e un corsetto addosso. «Quando lo vidi gli chiesi se avesse visto una foto di quella donna – dice Teresa – ma lui rispose che no, l’aveva solo immaginata e creata. Noi ci “arricreavamo” di fronte a questa creatività che aveva».

Mario, purtroppo, è scomparso il 3 giugno 2010, a Zurigo, a 43 anni, in circostanze misteriose: «Oggi avrebbe 49 anni e forse sarebbe famoso – si rammarica mamma Carmela – peccato che i migliori artisti vengono rivalutati solo quando muoiono». Alla famiglia sono rimasti solo pochi ricordi materiali. Quando Mario finì, i familiari furono chiamati ad andare a Zurigo a prelevare i suoi effetti personali, compresa la cartellina in cui lui custodiva gelosamente tutte le foto dei disegni che aveva realizzato qua e là nel mondo: «Ma la legge svizzera prevede che se passa un certo tempo dalla morte quella roba la buttano e noi non avevamo abbastanza soldi per andarci entro i termini. Quando riuscimmo a racimolarli era ormai troppo tardi, non c’era più niente. La nostra rabbia è che abbiamo perso tutti i suoi ricordi», spiega Teresa.

La famiglia di Mario ha anche un altro grande rammarico: non aver potuto dare al ragazzo una degna sepoltura per le difficoltà economiche in cui vive, con la pensione di reversibilità del padre morto e arrangiandosi con lavori umili ma onesti ogni volta che ce n’è la possibilità: «Quando Mario morì una mia amica mi fece il piacere di farmelo poggiare nella sua nicchia. Sarebbe bello se ci dessero un posto dove farlo riposare tranquillo, anche come artista sarebbe un riconoscimento», spiega addolorata la mamma. La famiglia non può permettersi l’acquisto di un loculo, per il quale occorrono circa 2mila euro, «ma sarebbe bello che Mario avesse un posto dove poterlo andare a salutare per bene e che ci venisse pure Maradona a fargli visita, il ragazzo era tifosissimo di Diego. Almeno la foto di Mario sull’impalcatura mentre fa il murales l’ha vista? Gliela possiamo far avere?».

Oggi alle 12.30, in via De Deo, Mario avrà un piccolo riconoscimento all’opera compiuta trent’anni fa. Il Comune apporrà sul murale una targa per inaugurare il restauro del murale compiuto da Salvatore Iodice. All’inaugurazione interverranno l’assessore ai Giovani, creatività e innovazione, Alessandra Clemente, Pasquale Citro in rappresentanza della Citelum, che ha fornito la gru per permettere il restauro e la madre di Mario Filardi, Carmela.

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