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Brunini, mister Gesac: «A Napoli il turismo è cresciuto ma manca una strategia di sistema»

Brunini, mister Gesac: «A Napoli il turismo è cresciuto ma manca una strategia di sistema»

Dal 2013 amministratore delegato Gesac SpA, società di gestione dell’Aeroporto Internazionale di Napoli, Armando Brunini (classe 1962) ha alle spalle una lunga carriera in diversi ambiti del settore Trasporti, in particolare quello aereo, soprattutto tra Roma, Milano e Bologna. In una recente intervista a Repubblica ha raccontato la sua vita in giro per il mondo, il desiderio di diventare manager sin da bambino e il lunghissimo periodo trascorso in Sud Africa, che lo ha segnato profondamente influenzando le sue scelte successive. Il suo arrivo a Napoli ha coinciso con uno straordinario sviluppo del nostro scalo aeroportuale: il Napolista lo ha intervistato per scoprire il segreto della sua gestione positiva.

Quando lei è arrivato, nel 2013, l’Aeroporto aveva un differenziale negativo di -6,2%. Nel 2014 si è registrato un +9,5. Nel 2015 sono stati superati i 6 milioni di passeggeri. Prima di arrivare qui, anche a Bologna la sua gestione aveva incrementato il traffico del 40%. Qual è il segreto del suo successo?

«A onor del vero, negli anni precedenti al mio arrivo l’Aeroporto era rimasto più o meno stabile: sono stati i primi mesi dell’anno ad essere abbastanza tragici, quando ero appena arrivato, ma il calo era anche legato alla congiuntura generale. Indubbiamente da quando sono qui siamo cresciuti, diciamo che, in un contesto di miglioramento generale, noi siamo stati sopra la media. Il segreto? Il marketing attivo. È finita la fase storica in cui gli aeroporti restavano fermi ad aspettare che le compagnie venissero a cercarli, oggi bisogna andarsi a cercare le compagnie. Siamo stati attivi, abbiamo lavorato sodo nel contrattare le compagnie, nell’incentivarle offrendo loro condizioni economiche migliori, ma solo se erano davvero intenzionate a portare a Napoli nuove rotte e sviluppo. Non regaliamo nulla: se individuiamo compagnie che credono nel potenziale del nostro territorio e dell’Aeroporto, allora le accompagniamo nello sviluppo. C’è anche da dire che andiamo da loro preparati: abbiamo un dipartimento che studia i flussi di traffico e le tendenze, andiamo da loro con dati precisi sul potenziale del nostro territorio e su cosa potrebbero ottenere lavorando con noi». 

Nel 2013 a Napoli non era ancora esploso il boom turistico che ormai interessa la città stabilmente da un paio d’anni, eppure lei ha puntato moltissimo sull’incremento dei voli internazionali. È stata una scommessa azzardata, la sua.

«È bastato un minimo di logica. Era evidente che il calo che stavamo vivendo, e che era maggiore di quello degli altri aeroporti, dipendeva dal fatto che eravamo sbilanciati sul traffico domestico: il nostro era soprattutto un traffico orientato tra Nord e Sud. La domanda interna soffriva più di quella internazionale, un po’ per la congiuntura negativa e un po’ a causa dell’alta velocità che ha sottratto molti flussi di traffico trasferendoli dall’aereo e dalla gomma al treno. Abbiamo capito che per avere uno spazio di crescita dovevamo collegare meglio la città e il territorio con l’Europa e il mondo. Studiando i dati sul turismo e la dimensione del traffico internazionale si vedeva che, rispetto a territori simili al nostro, c’era un gap tra potenziale turistico del territorio e numero di visitatori internazionali che venivano qui e abbiamo capito che solo collegando di più la città con l’Europa c’era la possibilità di raccogliere risultati. Diciamo che in parte siamo stati fortunati ad avere il boom turistico, di cui siamo tutti soddisfatti, ma in parte l’abbiamo anche determinato noi: a volte è l’offerta che crea la domanda».

Da qui l’incremento dei voli internazionali dell’Aeroporto di Capodichino.

«Sì. Oggi tre turisti su quattro, quando decidono di viaggiare, vanno su Internet e cercano le opportunità che considerano migliori, ovviamente quelle più dirette e più comode. Il semplice collegare la città in maniera diretta con più destinazioni attraverso compagnie che offrivano prezzi relativamente competitivi è stato importante. Abbiamo collegato Napoli a 15 nuove destinazioni europee, questo vuol dire che abbiamo creato quindici opportunità in più e che gente che prima non voleva fare il doppio scalo o che pensava che venire a Napoli costasse troppo, oggi può farlo. Quando sono in volo per rientrare a Napoli e sull’aereo trovo degli stranieri, mi faccio coraggio e chiedo loro perché sono venuti, per capire. L’ultima volta stavo tornando in aereo a febbraio, in pieno inverno, e ho incontrato due signori anziani che mi hanno detto che stavano venendo a Napoli perché in quel periodo costava poco, perché non ci erano mai stati e ne erano incuriositi e il fatto di avere trovato il volo diretto li aveva convinti. Quando succede una cosa del genere io godo, vuol dire che la strada è stata giusta. Abbiamo aumentato il traffico internazionale del 40%».

Il boom turistico degli ultimi due anni è innegabile. Cosa c’è da fare per tenere alti i risultati?

«Per far funzionare il turismo occorrono tante cose, noi la nostra parte la striamo facendo, ma non dipende tutto dall’Aeroporto. Come Aeroporto siamo soddisfatti per la parte che ci compete all’interno del sistema ma occorre progettare con tutti gli altri soggetti interessati una strategia sul turismo con azioni concrete. Non dobbiamo sederci sugli allori, perché i risultati rischiano di essere temporanei: il vento è positivo, il clima migliore, ma adesso bisogna fare di più, rendere strutturale e solido il risultato elaborando una strategia di sistema che possa agire strutturalmente. Napoli non deve vivere di solo turismo ma il turismo può essere una delle industrie più importanti a Napoli, in termini di economia ed occupazione. L’era di Bagnoli e dell’industria pesante è finita».

A Napoli solo i privati fanno marketing, il pubblico no. Voi avete puntato molto su iniziative web, come quella dei blogger che racconteranno la città vivendola, NaplesToday 2016. Perché?

«Perché il segmento turistico che ci interessa di più è quello dei city breaker, i cittadini europei che scelgono di interrompere la routine e passare qualche giorno viaggiando nelle città europee. Sono viaggiatori che utilizzano Internet per progettare i loro spostamenti in giro per il mondo. Napoli finora non è stata molto in questa rete ma oggi ci sta entrando e può farlo ancora di più. Per farlo occorre soprattutto comunicare, fare marketing e uno dei canali principali è quello del mondo digitale. Poiché non ci piace fare gli accademici e insegnare agli altri cosa fare, ma ci piace sporcarci le mani anche se a noi non toccherebbe, abbiamo proposto di fare un progetto insieme ad altri soggetti, per stimolare ancora di più il turismo. I blogger sono solo dei pilota, dei sassi nello stagno che dimostrano che alcune cose si possono fare, ma non basta farlo una volta l’anno, è solo un’azione dimostrativa. Diversi territori hanno cambiato il loro turismo grazie a strumenti di questo tipo. Riteniamo sia fondamentale investire di più e meglio nel marketing della destinazione e noi come Aeroporto possiamo dare una mano. Mi sento relativamente ottimista: ci sono le condizioni perché questo accada per cui ogni volta che posso sollecito in tal senso. Penso di aver dimostrato che ci mettiamo a disposizione di tutto il sistema».

Come è cambiato l’Aeroporto di Capodichino con il suo arrivo?

«Gran parte del lavoro era già stato fatto prima del mio arrivo, io l’ho solo preso in consegna. Diciamo che prima di me avevano lavorato più sul contenitore e che io ho lavorato invece più sui contenuti. Abbiamo puntato sul design interno grazie ad architetti molto bravi che ci aiutano, abbiamo migliorato l’offerta commerciale, circa metà dei negozi, perché anche questo fa qualità. Abbiamo incrementato i servizi per rendere sempre più piacevole l’esperienza del passeggero all’interno del terminal. Ci siamo chiesti cosa avrebbe desiderato un viaggiatore per sentirsi meglio nel transito in aeroporto e abbiamo lavorato su quello: i tempi di coda alla security si sono dimezzati grazie alla tecnologia, abbiamo lavorato anche sulla motivazione del personale. Non ci fermiamo mai. Abbiamo attuato anche una serie di iniziative culturali e creative che potessero ravvivare l’aeroporto e rendere la sosta al suo interno più piacevole, migliorare e rendere accattivante l’esperienza del passeggero. Diciamo che l’hardware già c’era e che io ho lavorato sul software».

Qual è secondo lei il punto di forza dell’aeroporto e quale quello di debolezza?

«Il punto di forza è che ormai è gestito da una squadra di professionisti con mentalità da azienda privata ma con una grande passione per il lavoro: lavorano tutti sapendo di fare qualcosa di buono per i profitti aziendali, certo, ma soprattutto per il territorio, per la città. È una squadra forte e molto motivata. Il punto di debolezza è quello che condividiamo con tutti gli altri aeroporti: siamo solo una parte del sistema. In aeroporto oggi operano 2500 persone ma a gestire le infrastrutture ne siamo solo 350/400. È un sistema formato da tanti soggetti che in alcuni casi non sono coordinati da noi. Il rischio è che alcune parti del sistema funzionino e altre no e che questo si ripercuota sul sistema generale».

Lei ha lavorato a lungo fuori, è tornato a Napoli nel 2013. Come ha trovato la città?

«Per certi aspetti migliorata. C’è molto meno traffico e più educazione da parte degli automobilisti: oggi ci si ferma al rosso, per esempio. I motociclisti, invece, li trovo ancora maleducati. Non c’è più il livello di monnezza di una volta, i grossi cumuli di spazzatura per la strada, complimenti a chi è riuscito ad eliminarli, ma c’è tanta sporcizia minuta, più che altrove. È una cosa che mi ha colpito perché se vai lontano ti disabitui a tutto questo, mentre se stai qui ti assuefai. Perché nelle altre città non c’è questa sporcizia e qui sì? È un pugno nello stomaco. Insomma, c’è evidentemente tanto da fare ma non ho trovato la città peggiorata. Come infrastrutture l’ho trovata bene. Però di certo l’ho trovata giù di morale. Mentre quando ero ragazzo si andava via malvolentieri e solo perché la priorità era quella della realizzazione professionale, ma se avessimo avuto un’opportunità buona a Napoli saremmo rimasti, oggi sento un pessimismo diffuso che porta la gente a dire “i miei figli da qui se ne devono andare”. Una volta non era così. Mi piacerebbe poter dire ai figli che sono nelle condizioni di poter scegliere, da cittadini del mondo, di lavorare al Nord, all’estero, ma anche di restare o tornare. Quando invece si arriva a trasferire alla generazione successiva il messaggio che, per riuscire, occorre andarsene, allora è un brutto segnale. Dobbiamo sperare di invertire il ragionamento».

Segue il calcio? Tifa Napoli? Cosa pensa della gestione della società da parte di De Laurentiis?

«Seguo il Napoli, soprattutto perché quando vivi a lungo fuori il tifo diventa più forte, una sorta di legame con la città. Allo stadio ci vado poco, circa due volte l’anno. Ho visto il Villarreal e, ahimè, sono stato in trasferta a Bologna. In genere le partite le vedo in televisione, su Sky. Quello che apprezzo della gestione di De Laurentiis è che sono anni che il Napoli è tra le prime squadre in classifica in maniera stabile e che l’azienda è sostanzialmente sana: io sono un manager e per me questa è una cosa importante. Tanto di cappello a una gestione che rende la squadra competitiva e sana economicamente piuttosto che fare il botto e poi scendere. I risultati, indubbiamente, si vedono».

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