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Lettera al Napolista (con risposta) sul Napoli, l’intensità e ’o scudetto

Lettera al Napolista (con risposta) sul Napoli, l’intensità e ’o scudetto

Caro Napolista, confesso che non avrei scommesso un pallone bucato sul possibile accordo tra De Laurentiis e Benitez: ma sarà vero?

Nella condivisa speranza che ciò avvenga, volevo proporre un mio interrogativo sul quale cerco altrui (qualificate) opinioni.
Se è vero, ed è vero, che il Napoli quest’anno quando ha dato il massimo ha dimostrato una forza che non ha eguali in Italia, visto che nessuna squadra ha coniugato come noi soluzioni e fantasia in attacco, una mediana propositiva nella fase d’attacco e asfissiante nell’interdizione per proteggere la difesa, una difesa appunto che (sempre quando la squadra ha dato il massimo) si è dimostrata attenta, fisica ed anch’essa propositiva nell’innescare il gioco in avanti (l’errore del singolo può sempre capitare e, come dice Rafa, ci può stare).
Mi chiedo allora: se questa intensità, propositività, attenzione, non c’è stata in tutte le partite, a cosa è dovuto?
L’allenatore che non riesce sempre a motivare al massimo i giocatori? O i giocatori che, per limiti propri, non riescono a tenere sempre alto il loro livello di bravura?
A favore della prima ipotesi mi fa riflettere la reazione di tutto il team (allenatore e calciatori) al pugno duro del Presidente quando li ha mandati in ritiro illimitato (vedi: Rafa mai così incazzato in panchina e mai così rubizzo in viso, i calciatori mai così uniti al punto che l’abbraccio collettivo prima delle gare è stato esteso anche ai panchinari, i risultati obiettivi che si sono avuti…fino ad Empoli, quando appunto le “misure restrittive” erano state revocate).
A favore della seconda ipotesi prevale la considerazione, un po’ scontata ma vera, che alla fine sono i giocatori che vanno in campo, che Benitez in quanto ad esperienza ha due palle così e che parecchi calciatori se li è…diciamo così…trovati in squadra, non avendoli scelti tutti ma solo alcuni (anche se, in verità, anche qualcuno di questi è venuto un pò meno nella continuità di cui dicevo all’inizio, vedi Callejon, Albiol).
La soluzione dell’interrogativo, secondo me, può essere decisiva in prospettiva futura, perché dal prossimo anno in avanti, almeno un Campionato, lo vogliamo rivincere dopo tanti anni? Bene la Coppa Italia, benissimo l’Europa League, ma ‘O Scudett?
Quest’anno ho visto spesso giocare tutte le migliori squadre del Campionato: la Juve, la Roma, la Lazio, la Fiorentina, mettiamoci pure la Samp, ma nessuna ha espresso mai lo stesso martellante, entusiasmante e spettacolare gioco del Napoli (in giornata sì).
Allora? Come si risolve il problema o meglio l’interrogativo con il quale ho iniziato le mie riflessioni?
Attendo un contributo e nell’attesa vi saluto con estrema e molto azzurra cordialità.
Pietro Introno

La lettera del signor Introno (indirizzata a ilnapolista@yahoo.it) casca a fagiolo perche riassume la summa di quelli che io considero i luoghi comuni più difficili da estirpare nella tifoseria. Mi riferisco alla tifoseria napoletana e potrei dire anche ai professionisti napoletani della comunicazione, perché questo è il bacino d’utenza del Napolista, ma il discorso è generale, riguarda la concezione dello sport che ormai si ha in Italia, soprattutto nel calcio.

In soldoni, il signor Introno si chiede come mai il Napoli non giochi sempre come contro la Roma o il Wolfsburg. E in fin dei conti si dà anche una risposta: giocano bene quando il presidente li prende con la mazza. E, soprattutto, spiattella apertamente la verità di tanti tifosi: conta solo lo scudetto. 

Io rispondo nella consapevolezza che non riuscirò a convincere né lui né altri.

Personalmente sono sconcertato dalle reazioni alle sconfitte. Da parte di tutti. Tifosi illustri, meno illustri, opinionisti, tutti. Braccia alzate e peana quando si vince, processi quando si perde. Come se vittoria e sconfitta non rientrassero in un unico percorso. Un percorso che si è definito di crescita e che tiene conto della, appunto, crescita complessiva della squadra, del brand Napoli. 

Nello sport hanno perso tutti. Qualche fisiologica eccezione c’è, Rocky Marciano ad esempio, ma diciamo che la sconfitta è elemento connaturato allo sport. Sconfitta la cui accettazione oggi è praticamente espunta dal vocabolario giornalistico. E si perde, in genere, perché l’avversario in quella occasione si dimostra più forte, più attento, più coriaceo, più intenso. Come è stato l’Empoli giovedì sera, un Empoli che ha giocato e corso come se non ci fosse un domani. 

Ma veniamo alle domande. Perché il Napoli non gioca sempre con la stessa intensità? Perché è naturale. Perché nessuna squadra gioca con l’intensità che noi abbiamo mostrato quest’anno contro la Roma (surclassata senza ritiro punitivo), Inter in casa, Wolfsburg, Sampdoria, ma anche Torino e Verona in casa e qualcuna certamente mi sfugge. Non dico Trabzonspor né Dinamo Mosca perché sono considerate squadrette. Non è la Playstation, è un gioco con calciatori, persone umane, che possono avere cali fisici o di tensione. 

Ho parlato prima di processo di crescita. Il Napoli è la squadra italiana che ha giocato più partite di tutti quest’anno. Cinquantadue. Stasera col Milan diventeranno 53 e sicuramente alla fine saranno 59. La Juventus ne ha giocate 49 e se tutto le dovesse andare bene, ne giocherà 57. La Fiorentina oggi arriva a 50. La Roma è ferma a 45. Con la Lazio scendiamo a 39. Anche questo, che piaccia o no, rientra in un processo di crescita. Il Napoli quest’anno ha giocato cinque competizioni. È la seconda squadra italiana nel ranking Uefa.

Purtroppo tutto questo interesserà sepre poco fin quando il centro di gravità permanente dei desideri del tifoso sarà il campionato. La stessa Europa League, come emerge dalla lettera, è considerata uno scarto. Ma è difficile che una società, un’azienda, modifichi le proprie strategie perché i tifosi la pensano diversamente.    

Questione ritiro e mazza e panella. La scorsa estate i tifosi della Juventus si disperarono per l’addio di Antonio Conte. Convinti che senza di lui, senza la sua grinta, il suo sbracciarsi, le sue motivazioni, la Juventus non avrebbe mai vinto. La realtà ha dimostrato il contrario. La Juventus di Allegri ha vinto lo scudetto, è in finale di Coppa Italia, ha perso la Supercoppa solo ai rigori, ed è in semifinale di Champions League. Una stagione così Antonio Conte non l’hai mai avuta coi bianconeri. È ora di finirla. Se le vittorie dipendessero dallo sbraitare in panchina, Carletto Mazzone (grandissimo, per carità) avrebbe vinto dieci Champions. Ma com’è possibile che un simile pensiero possa mietere ancora tanto consenso? Ancelotti forse si sbraccia? Guardiola fa il pazzo? Del Bosque dà di matto? Ormai oggi, grazie alla tv, è possibile guardare le partite di tanti campionati così come delle coppe e non è difficile farsi un’idea.

Purtroppo da noi si fa una fatica enorme a considerare lo sport, il calcio, una disciplina. Si fa fatica a comprendere che chi allena, studia da anni, incrocia dati, si aggiorna. Questo vale non solo per Benitez. Il dibattito è fermo al codice binario: sconfitta/vittoria. Il giornalismo sportivo non aiuta affatto. Non si capisce perché il giornalismo sporitvo si stia riducendo a inseguire gli umori dei tifosi rinunciando al ruolo di guida. E il risultato è una perenne e cronica scontentezza che cozza col motivo che dovrebbe spingere a seguire lo sport (oltre che a praticarlo). 
Massimiliano Gallo

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