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L’intensità, questa sconosciuta nel calcio italiano. Nel rugby e nel basket è la norma. A pallone la inventarono gli olandesi

L’intensità, questa sconosciuta nel calcio italiano. Nel rugby e nel basket è la norma. A pallone la inventarono gli olandesi

L’intensità di gioco è un insieme di concentrazione mentale, sforzo fisico costante e distribuito tra i giocatori, attenzione su ogni palla, su ogni azione e ogni suo dettaglio. L’intensità di gioco è fondamentale in alcuni sport quali ad esempio il basket ed il rugby, ma è un concetto che è divenuto comune nel calcio solo negli ultimi anni.

Nel rugby è indispensabile gestire il possesso dell’ovale con straordinaria intensità per impedire agli avversari di riconquistare il pallone e prendere il sopravvento, e quando non in possesso palla l’intensità costante è importantissima per occupare tutte le zone del campo contrastando con forza per non favorire la fuga degli attaccanti pallone in mano verso la meta o per evitare lunghi periodi di possesso avversario.

Nel basket l’intensità è l’ingrediente di base. La pallacanestro è un gioco che non consente pause, non si può gestire o congelare il risultato. Per vincere le partite è necessario continuare a segnare o forzare gli avversari a sbagliare le proprie azioni. Le azioni si susseguono al ritmo massimo di una ogni 24 secondi. Un black-out nel basket può provocare parziali negativi che decidono irrimediabilmente il risultato.

Per questi motivi i cestisti e i rugbisti vengono educati all’intensità di gioco sin da giovani, indipendentemente dal talento e dalla struttura fisica. Tutti partecipano con la medesima intensità al raggiungimento del risultato.

Il calcio in teoria non ha questa necessità. Una volta in vantaggio, una squadra potrebbe smettere di attaccare limitandosi a difendere il risultato con quasi tutto il suo organico, buttando il pallone il più lontano possibile dalla propria porta e lasciando tirare il fiato a turno ai suoi calciatori. Ciò succede ancora, ma una volta era molto più comune che le partite si concludessero per 1-0 con una rete segnata magari a inizio gara.

Alcuni fattori importanti hanno però cambiato il modo di gestire i novanta e più minuti di un incontro di calcio. Sono la diversa fisicità e l’atletismo dei calciatori rispetto al passato, gli arbitraggi che non consentono più ai difensori interventi duri senza il rischio di pesanti sanzioni disciplinari e soprattutto l’impossibilità di gestire come in passato il pallone con retropassaggi al portiere che un tempo poteva bloccare il pallone rendendo infinitamente più difficile per chi era sotto nel risultato riconquistare il possesso della sfera. Quante volte nel passato più remoto avete sentito dire sul doppio vantaggio “mettono al sicuro il risultato”? Oggi il doppio vantaggio non è più una garanzia.

In effetti, fino a poco più di quaranta anni fa l’intensità nel calcio era un concetto pressoché sconosciuto. Le squadre raramente producevano uno sforzo costante per 90 minuti. Piuttosto si affidavano ai giocatori più bravi per mettere al sicuro il risultato e poi mediani e difensori si preoccupavano di difenderlo mentre gli attaccanti tiravano il fiato per lunghissimi minuti. I ruoli e i reparti (e il loro lavoro in campo) erano ben definiti. Tutto questo fino a quando nel mondo del calcio si affacciò la generazione degli olandesi del “calcio totale”. Quasi tutti i calciatori di quella fantastica “cucciolata” ebbero in dono da madre natura classe, talento e fisico. Però in aggiunta essi furono educati all’intensità sin da ragazzi. Pur senza vincere titoli mondiali a livello di nazionale maggiore, il calcio olandese cambiò il modo di stare in campo e di definire i ruoli dei calciatori.

Alcune scuole calcistiche furono capaci di contrastare in parte il dominio olandese, altre cercarono senza successo, almeno all’inizio, di scimmiottare il modello “Orange”, fino a quando ripiegarono temporaneamente sul modello di calcio per loro tradizionale riscuotendo ancora alcuni successi. In ogni caso il dado era tratto e il calcio cambiò per sempre. Squadre corte, palleggio ossessivo, pressing e soprattutto intensità sono da allora diventati i concetti base per giocare al calcio.

La scuola calcistica che, pur senza avere le caratteristiche di gioco del calcio olandese, seppe all’epoca maggiormente tenere botta fu quella tedesca. Non è un caso che nel Dna dei calciatori tedeschi ci sia proprio l’intensità di gioco. Noi sappiamo bene che i tedeschi sono quelli “che non mollano mai”. La loro tradizione, educazione nonché l’addestramento come calciatori parte proprio dall’intensità di gioco, anche per i più talentuosi. Contrariamente ad altre scuole, anche in passato, raramente si sono visti sui campi di calcio giocatori tedeschi che tirano il fiato a lungo, anche quando si tratta di attaccanti o di fuoriclasse. La partita, per i tedeschi, è sempre durata almeno 90 minuti. Le loro rimonte a livello di nazionale sono entrate nella storia, e se sono in vantaggio raramente si accontentano di congelare il risultato.

L’intensità nel calcio è divenuta comune a partire dagli anni ’90. Le grandi squadre degli ultimi venticinque anni hanno raggiunto i loro successi giocando per novanta e più minuti, non necessariamente correndo come forsennati, ma mostrando attenzione costante in tutte le zone del campo, concentrazione massima e sforzo fisico anche attraverso lunghi possessi palla.

Il campionato italiano ancora non brilla come modello di intensità se paragonato a quello tedesco, inglese o spagnolo. Una delle cause degli insuccessi delle nostre squadre a livello internazionale negli ultimi anni è stata proprio una minore abitudine all’attenzione e alla concentrazione costanti. Probabilmente gli allenatori di serie A hanno dedicato più tempo alla tattica e alle strategie per fermare le fonti di gioco avversarie che alla cura dello sforzo e dell’attenzione costante. Inoltre molti allenatori italiani hanno mostrato spesso di preferire un approccio alla gara poco intenso ed arrembante (detto comunemente “di studio”), forse per evitare di essere infilati in contropiede e fare la figura dei polli. Questo approccio è tipico in ambienti in cui la pressione per il risultato da parte di pubblico e mass media è molto alta, tanto da lasciare preferire un pareggio sicuro a una vittoria meno probabile. Con il risultato che a volte l’eccesso di prudenza porta a subire un gol, magari nella fase finale della gara, non più rimediabile. Le carenze in termini numerici all’interno delle rose delle squadre italiane hanno spesso poi fatto il resto, impedendo un turnover efficace in special modo negli appuntamenti internazionali. In effetti, gestire almeno una cinquantina di partite l’anno lasciando inalterata l’intensità di gioco rende necessario avere quasi due squadre intercambiabili, cosa poco comune fino a poco tempo fa in Italia ma molto più normale tra le grandi squadre straniere.

Il Napoli di Benitez deve alla mancanza d’intensità molti punti persi. Le cause, come sappiamo, sono state diverse. A volte è stato lo sforzo fisico non correttamente spalmato su tutti i novanta minuti, talvolta è stato l’approccio privo d’intensità a inizio partita nel tentativo di gestire la gara su ritmi bassi a causare inopinati svantaggi non più o solo parzialmente rimontati, ma molte altre volte è stata proprio la mancanza di attenzione e di concentrazione in tutti i novanta minuti a rovinare la prestazione di squadra. Se a ciò aggiungiamo l’atavico difetto di specchiarsi una volta in vantaggio senza proseguire la gara con la medesima intensità, magari solo per tirare il fiato o illudendosi che quel vantaggio potesse bastare, ne ricaviamo che probabilmente il Napoli è ancora a qualche passo dall’affermarsi definitivamente come grandissima squadra. Però il Napoli in Italia non è solo. La Roma è una squadra che non è più capace di giocare una sola partita con la stessa intensità dall’inizio alla fine. E la stessa Juventus a volte ha mostrato approcci errati o improvvisi blackout. Il suo enorme vantaggio è dovuto forse proprio al fatto che le sue avversarie hanno ancor meno intensità di gioco. Senza parlare poi delle altre candidate all’Europa, protagoniste di splendide prestazioni quando concentrate ed attente ma incapaci finora di infilare una serie di partite allo stesso livello.

E nel frattempo in Europa o nei loro campionati il Bayern Monaco e il Barcellona non si fermano neanche al quinto o sesto gol, il Paris Saint Germain elimina il Chelsea a Londra in 10 contro 11 grazie a una straordinaria intensità di gioco, e il Real Madrid, per colpa di una partita giocata con poca intensità, perde in casa evitando per un pelo la beffa dell’eliminazione contro, guarda un po’, proprio una squadra tedesca che sembrava non arrendersi mai…
Roberto Liberale

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