Dimenticata la “lezione” di Benitez, smarrito il gusto del gioco, perduto il possesso-palla, saltata molta qualità offensiva, il Napoli è tornato ad essere la squadra di Mazzarri che concedeva agli avversari la prima metà delle partite, si scuoteva un po’ nella ripresa e saliva di giri nel finale (la famosa zona-Mazzarri esaltata da Cavani).
Il Napoli del secondo anno di Benitez ha fatto un passo indietro, evidente nelle ultime quattro partite, soprattutto nelle ultime due, quando ha dovuto badare a far risultato dopo un avvio disastroso (tre punti in tre partite). Contro Torino e Inter, la squadra è venuta a galla nel secondo tempo segnando tre dei quattro gol nell’ultimo quarto d’ora.
I limiti strutturali della formazione azzurra, sottolineati in sede di campagna acquisti, hanno connotazioni precise mentre è sfumata la carica di entusiasmo della prima stagione di Benitez. Il Napoli si regge oggi sui due centrali di difesa, su Gargano quando c’è e sull’istinto del gol di Callejon (sei reti come Tevez e Honda). Higuain ha infilato sette partite senza gol (a San Siro non ha mai tirato in porta), peggio dell’anno scorso quando andò a segnò tre volte. In due gare delle sette sinora giocate in campionato il Napoli non ha segnato (18 reti l’anno scorso andando sempre a bersaglio).
I limiti strutturali riguardano gli esterni di difesa non all’altezza. Maggio usurato da una lunga carriera, Zuniga inaffidabile, Britos con i suoi limiti, Ghoulam il meno peggio. Esterno destro di difesa a San Siro, Zuniga ha inciso poco in fase offensiva e ha subito i cross di Dodò (due hanno fruttato la doppia rimonta dell’Inter).
A centrocampo, appannato Jorginho e con Inler al di sotto della cifra che è costato (13 milioni), nessuno crea gioco al punto che, con l’impiego di Gargano e l’inserimento di David Lopez, si è arrivati a una diga mediana di sbarramento nell’emergenza assoluta di proteggere almeno la difesa che però continua a prendere gol (sei nelle prime quattro partite, nove in totale).
Il nervosismo di Higuain, l’attesa ancora vana di un Hamsik all’altezza delle sue qualità, il rendimento ridotto di Mertens e le difficoltà di Insigne hanno spento il potenziale offensivo che l’anno scorso teneva in scacco gli avversari. Nel primo anno di Benitez il Napoli partiva dall’attacco, brillantemente proteso a colpire gli avversari, quest’anno dopo un inizio deludente (una sola vittoria nelle prime quattro partite vincendo a Genova al 95’) è dovuto ripiegare in difesa con gli stessi affanni del Napoli di Mazzarri che difendeva a cinque. E, poiché la maggior parte degli attaccanti continua a restare nell’ombra, le ripartenze non hanno più l’efficacia passata.
Poiché nel calcio miracoli non se ne fanno, andrà avanti un Napoli che dovrà badare a difendere meglio con quelli che ha in “rosa” speculando sui gol di Callejon in attesa che il Pipita torni a colpire, la velocità di Mertens spacchi le difese e Insigne sia più utile in avanti e meno sacrificato in copertura.
Il terzo posto, traguardo massimo ma apprezzabile per questo Napoli, è possibile. Davanti ci sono due squadre sulle ali dell’entusiasmo (Sampdoria a + 4 e Udinese a +2), il Milan di Inzaghi (+3) che ha il migliore attacco (16 gol) dell’alta classifica ma anche la peggiore difesa (10 reti) e la Lazio di Djordjevic (+1).
Dopo l’intermezzo di Europa League (giovedì a Berna contro lo Young Boys), il Napoli affronterà al San Paolo il Verona (a pari punti), una delle formazioni in calo, una vittoria nelle ultime tre gare, dopo l’inizio sfolgorante che, al pari di Samp e Udinese, l’aveva lanciato in alto.
Sarà un periodo senza respiro, con molto turn-over (Albiol e Koulibaly non hanno saltato una partita in campionato, Callejon, Hamsik, Insigne e Higuain sono tra quelli che hanno giocato di più) e con un programma di sei partite (due in Europa League) in 18 giorni, una ogni tre giorni, prima della prossima sosta per la nazionale. E l’1 novembre c’è la Roma al San Paolo.
Mimmo Carratelli