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Ma l’odio antropologico è solo nei confronti di Napoli

Non entro nel merito della alternativa posta da Fabrizio d’Esposito, dal momento che costituisce una semplice ipotesi astratta,propedeutica ad altre riflessioni. Sono d’accordo comunque con Fabrizio che è un’alternativa a dir poco drammatica. Nel discorso si è inserito Franco Burgnich, sostenendo con garbo la reciprocità di questo male oscuro della rivalità tra le due tifoserie. Per onestà intellettuale posso concedergli la sostanziale reciprocità della avversione tra le due tifoserie, ma nessuna concessione è possibile sull’argomento, molto più serio, dell’odio antropologico, unilaterale nei confronti di Napoli, che rappresenta l’argomento forte di d’Esposito. “A Roma ci detestano, a prescindere, per una questione antropologica, non politica”.
Nel mio lungo percorso esistenziale, non soltanto romano, sono arrivato alla conclusione certa che buona parte di questa sindrome velenosa nasce da un complesso di inferiorità. Il napoletano è percepito come furbo ma anche come intelligente, dotato di una complessa personalità, anche nelle classi più umili, sedimentata attraverso una civiltà e una cultura millenaria che intimorisce l’interlocutore, al punto da ingenerare un senso di invidia e di avversione. Norman Lewis, un ufficiale dell’esercito britannico di occupazione, ha scritto il più bel libro della Napoli del dopoguerra “NAPOLI 1944” che racconta con profonda umanità e grande sensibilità la tragedia di un popolo prostrato dalla sua miseria ma immenso nella sua nobiltà. Lewis il suggello del suo amore per Napoli lo stampa quando scrive “ogni bambino napoletano ha gli occhi di un intellettuale”. Quei bambini sono cresciuti, signor Burgnich.

Antonio Patierno

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