Oggi, una di quelle giornate che ti ricordano quando hai cominciato a tifare Milan, nelle pieghe dell’età inconsapevole, in fondo alle campagne milanesi dove sei cresciuto. Così vicino, così lontano dal centro di Milano popolato dalla decadente buona borghesia interista, allevato a pane, zanzare e bei ricordi rossoneri dei tempi andati. Eri bambino e nel Milan giocavano Vinicio Verza, Icardi, Manzo, Gerets. Una squadra di brocchi, qualcuno aveva anche assaggiato la serie B – prima il calcio scommesse, poi il verdetto del campo – e sentivi i tuoi vecchi dire che la serie B era il posto per quelli, le partite in cui prendevi gli schiaffi dalla Cavese la cifra esatta del valore di quella squadra. Sì, in campo c’era già – ancora e sempre – il tuo capitano, l’unico capitano, Franco Baresi.
I più attenti sapevano che sui campi di Milanello scaldava i muscoli un ragazzino dal cognome importante, Maldini Paolo, che avrebbe spiegato in fretta, di lì a poco, a Gigi Radice che non era un raccomandato, come credeva lui, ma un fuoriclasse, come gli avrebbe spiegato Fabio Capello. Perdonatemi, però, mi è già scappata la voglia degli anni gloriosi, oggi il compito arrivato dalla bacheca di facebook del Napolista, per noi milanisti, è pauperista e quaresimale. Essere milanisti, oggi, ti ricorda proprio quell’inizio di tifo senza speranza, quel momento in cui gli affetti e la tua storia scelsero per te colori per i quali i trionfi erano tutti nell’epoca senza colori delle fotografie in biancoenero. Oggi è un po’ così, avessi un nipote o un cugino tre-enne, gli racconterei le origini mitologiche di un’epopea, gli anni dei trionfi, delle lezioni di calcio impartite ai cugini, o al San Paolo quando c’era Maradona, dico, mica Insigne.
“Zio” mi chiederebbe “e perché adesso perdiamo sempre?”. Perché se non si perdesse mai non sarebbe il gioco più bello del mondo. E tu ringrazia mamma che ti ha messo al mondo milanista: nascendo a Milano, credimi, ti poteva andare infinitamente peggio.
Jacopo Tondelli