Double face. In pullover fragola su Sky e, subito dopo, in girocollo blu sulla Rai da Linus per la trasmissione “Il grande cocomero”, senza offesa. Così Walter Mazzarri (il cardinale Mazzarrino) si è rivelato come non mai dopo avere abbandonato il romitaggio pensoso di Pozzuoli per assurgere alle superiori dimensioni milanesi esaltate dalla lettera pastorale in 216 pagine sulla sua vita da incompreso, ma, come dice il titolo del testo sacro che annuncia la Parola dell’Io, il meglio deve ancora venire, la stessa frase pronunciata da Obama la sera della rielezione a presidente degli Stati Uniti e cantata da Ligabue. Oilà. Col capello lucente, le manone nervose, la testa a din-don, ora di qua ora di là, come a sottrarsi all’occhio indiscreto delle telecamere, un pudore da spettacolo sul faccione di intervistato molto speciale, Walterone ha predicato a ventuno pollici, al plasma e a cristalli liquidi le sue convinzioni di eclatante ayatollah del football. Se Arrigo Sacchi è stato al suo tempo il Khomeini del pallone, Mazzarri è il Vittorio Alfieri (volli, e volli sempre, e fortissimamente volli) del calcio di volontà. Un allenatore al titanio e perciò titanico. Ha inventato calcio a Napoli e trasformato la difesa da tre a quattro, diabolica manipolazione tattica sfuggita agli ignoranti giornalisti napoletani, come ha tenuto a dire, ai quali ha sempre pazientemente spiegato il suo comporre e ricomporre la squadra, col puzzle sotto al naso. Definitosi un lupo solitario, ci ha tenuti freddamente a distanza (il gelo in una distanza). Al culmine della gloria, ha incontrato il supremo professore pallonaro José Mourinho parlando con lui per mezz’ora da pari a pari, il massimo della laurea in dottorato del calcio sono io. Un grande Walter Mazzarri che ha voluto chiudere col Napoli. Walter closed.
MIMMO CARRATELLI (tratto da la Repubblica del 3 febbraio)
Mazzarri con il puzzle sotto al naso
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