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Un napoletano sbanca Generali: non si può avere anche a Napoli un governo dei migliori?

Il bunker aveva resistito fino al 90′, quando il napoletano Mario Greco, classe 1959, in scivolata sul parquet, al termine di un batti e ribatti in consiglio d’amministrazione, ha insaccato alle spalle del portiere viola, all’ultimo minuto della partita Della Valle-Generali, finita zero a uno per noi, che tifavamo Greco.

Confesso che vedere Diego Della Valle in difficoltà mi provoca un sottile piacere: sarà per quel maglioncino fucsia annodato sulla giacca, che ormai non si porta più manco al Negombo di Ischia, o per quelle scarpe chiodate che promettono stabilità ma infliggono cappottamenti alla prima goccia di pioggia. Il piacere che in genere mi provoca Cavani che segna alla Fiorentina s’è fatto godimento purissimo alla notizia della sconfitta di Della Valle nell’epocale disfida consumatasi nel board di Generali, il più importante colosso finanziario-assicurativo del nostro Paese. La mia vittoria è quella di Mario Greco, 53 anni, nominato amministratore delegato dal Consiglio d’amministrazione che aveva precedentemente silurato il super-manager Giovanni Perissinotto, sfiduciato contro il parere di Della Valle, a sua volta dimessosi dal Cda. Un tracollo, per Diego, un trionfo per il napoletano Greco: cavalcare il Leone triestino è potere colato, più di un ministero, l’olimpo dei superlativi assoluti in materia di alta finanza.

Ma al di là delle simpatie personale per il patron della Tod’s, la vicenda delle Generali ci fornisce un argomento di riflessione: l’abisso oceanico tra l’eccellenza della managerialità napoletana in Italia e nel mondo e il livello scadente della governance politica e amministrativa (nonché sportiva) nella nostra città. Oggi sui giornali c’è una classifica sulla morosità delle Asl italiane nei confronti delle imprese fornitrici: nei primi dieci posti ce ne sono due napoletane, una di Pozzuoli e due campane, tutte gestite da grandissimi manager, ovviamente… Ma il tema non cambia, sia che si parli del sindaco, volenterosissimo ex pm che faceva inchieste in Calabria, sia che si analizzi la giunta, nella quale non c’è un nome napoletano di respiro nazionale, a maggior ragione se si osserva la situazione del Pd, commissariato da uno spezzino (Andrea Orlando) e del Pdl (in Campania in mano a un romano, Nitto Palma). Per non parlare del calcio, dove una società come il Napoli s’è affidata per due anni a un torinese, Marco Fassone, oggi “emigrato” all’Inter con l’etichetta di colui che ha immaginato e fatto realizzare un magnifico stadio. Tre anni fa. Quello della Juventus.

Possibile, viene da chiedersi, che a Napoli non si riesca a coinvolgere un nome che abbia dato conclamata prova di sè, ovunque, visto che i riferimenti non mancano. A parte l’eccellenza istituzionale, quella del presidente Napolitano, Napoli comanda a livello economico (Ignazio Visco, governatore di Bankitalia), burocratico (Mario Canzio, ragioniere generale dello Stato), giurisdizionale (Alfonso Quaranta, presidente della Corte Costituzionale). Ma anche in quello privatistico basta poco per scovare figure del calibro del citato Mario Greco (che arriva alle Generali dalla Zurich, il percorso di Inler al contrario…), o Francesco Caio, ad dell’Avio, già supermanager di Olivetti, Omnitel, Merloni, oggi candidato alla guida della Rai, per passare da altri napoletani di successo nelle multinazionali, da Antonio Bontempi, ad di Vitrociset, colosso del settore radaristico, a Fabrizio Freda, presidente della Estée Laude, fino a Maurizio Zazzaro, Country manager della Microsoft e Francesco Trapani, Ceo della Bulgari, solo per fare dei nomi.

Per intenderci, tutti napoletani di cui andare orgogliosi, anzi, che devono aiutarci a superare la retorica borbonica della secessione e quella del meridionalismo accattone, indurci ad andare oltre il solito alibi del “vabbè ma quelli sono andati via giovani, hanno studiato fuori, che c’entra Napoli”. Invece il loro esempio è utile a spiegare la condizione dei tanti altri che hanno studiato a Napoli e qui sono emersi, nelle rispettive professioni, ma che non riescono a superare le barriere architettoniche della politica cittadina, che impedisce il ricambio, l’ingresso, la partecipazione qualificata alla governance. Come conferma l’appello, che chiamerei “disperato grido d’allarme”, lanciato da un’ottantina di professionisti napoletani ai vertici del Pd napoletano. Tentativo velleitario ma sicuramente tempo non sprecato per quelle menti “illuminate”, tecnici e intellettuali che trovano il tempo di chiedersi come pretendere e ottenere di più, per noi stessi, a favore della città, dando il meglio di noi stessi. Quell’eccellenza che altri riescono a dare, altrove, sotto i nostro occhi, mentre noi ci piangiamo addosso e neanche li notiamo, perché troppo impegnati nel culto delle personalità e nella bassa cucina della politica.
Luca Maurelli

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