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Quando il tenore dei Distinti

Le gare ad handicap sono emozionanti e belle da vedersi. Si parte in svantaggio e poi bisogna rimontare. Se la rincorsa riesce, l’entusiasmo raggiunge le stelle. Ma naturalmente non c’è garanzia che il vuoto venga colmato. E quando lo squilibrio resta fino in fondo, in luogo dell’euforia ci sono amarezze, rabbie, recriminazioni e scoramenti.  Di rimonte memorabili, il Napoli ne ha diverse all’attivo, negli ultimi tempi. Basti ricordare le imprese con Milan e Juventus nelcampionato passato. Poi, lunedì scorso un handicap un po’ particolare ha resistito e favorito il successo dei rossoneri al San Paolo. Una sorta di ritardo, di attesa immobilista nei primi venti minuti. E il cosiddetto rush finale (simboleggiato da De Sanctis in area del Milan) non ha dato frutti, abbiamo perduto. Ci sarà magari chi per gusto del pericolo continuerà ad amare le rincorse. Ma è fitta la schiera di chipreferisce far le cose per tempo, giocar come si deve fin dall’inizio, e poi si vede… Non è facile dargli torto. Perché aspettare e subire, per poi tentare, dopo, di sovvertire la situazione? Al tecnico e ai giocatori azzurri l’ardua sentenza. Dalla parte di chi guarda e soffre c’è solo da sperare che le gare ad handicap vengano bandite dalle abitudini della squadra. E, in attesa, richiamare alla memoria quegli “accorgimenti” spontanei e molto empirici, frutto di impulsi estemporanei, che si usavano una volta. Ma erano gli spettatori a metterli in atto. C’erano nell’aria meno cori scanditi e più correnti spumeggianti di ironia e passione. Era così quando dalle gradinate del Vomero partivano le note acute e limpide del “trombettiere”, tifoso sempre presente col suo strumento luccicante. Al momento giusto, suonava la carica, seguita dagli incitamenti a voce. E gli azzurri, impressione o realtà, sgambettavano più veloci. O quando il sempiterno vice di Lauro, il buon Cuomo, si spostava sotto la curva A e ci stazionava fino al fischio di chiusura, agitando le braccia verso i tifosi dal basso verso l’alto a intervalli regolari, per esortarli a farsi sentire. E chi ricorda il “tenore” dei Distinti? Un tifoso dalla voce potente, appostato sul tettuccio degli spogliatoi. Appena vedeva il primo calciatore in uscita sul campo, lanciava il suo grido fortissimo e prolungato: “Ebbì ‘lloco!”. E lo stadio era avvolto da un urlo fragoroso. Ma il vero grido di battaglia arrivava quando il Napoli subìva la pressione avversaria. Se il terzino Comaschi si impadroniva della palla, il tenore gridava a stesa “’O liooone!”, e tutta la squadra  appariva d’improvviso elettrizzata, come se avesse subìto una scossa ad alto potenziale. Poi, un contributo d’assieme: se gli avversari dominavano, quarantamila voci – memori del simbolico ciuccio, emblema sociale – intonavano, alla carrettiera, un formidabile “hiiiiiiiii”, che voleva dire: “fermatevi, dove credete di andare?”. E appena il Napoli recuperava il pallone, esplodeva invece un altrettanto fortissimo “ahhhhhh ,ahhhhhh”, esortazione che spingeva la squadra verso la rete nemica. E non c’era, allora, il tifo organizzato. Mimmo Liguoro

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