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E’ morto il gabbiano Gennaro Rambone

Si è spento al Cardarelli, dov’era stato ricoverato d’urgenza, Gennaro Rambone. Aveva 75 anni, personaggio popolarissimo del calcio napoletano, giocatore e allenatore, polemista televisivo.
Gennaro Rambone nacque il primo aprile del 1935 al numero 20 di Vico dei Venti, nel quartiere Sanità. Il padre Vincenzo, partito per la guerra, non fece più ritorno. La madre, Antonietta Longo, dovette badare a cinque bambini. Gennarino fu mandato “dalle monache” e non ne uscì un angioletto. Le strade della Sanità erano piene di scugnizzi. La madre pensava di farne un ufficiale di Marina, come il marito. Mandò Gennaro in collegio al Nautico di Sabaudia. Ma quando si trattò di andare a Livorno ed entrare in Accademia, lui disse di no e scoprì, sul campo delle Fontanelle, la sua vera vocazione. Fare il calciatore.
Apprendista attaccante nella squadretta di Porta Capuana, la Pro Uries Arditi, intascò i primi soldi col pallone: duemila lire di premio-partita.
Lo scovò Mimì De Nicola, talent scout in giro per le strade e le piazze di Napoli alla ricerca di ragazzi promettenti. Gennaro entrò nelle giovanili del Napoli col premio massimo di fare il raccattapalle durante le partite della prima squadra.
Erano i tempi in cui, al Vomero, i tifosi urlavano “Geppesonne! Geppesonne”, invocando le prodezze del centravanti svedese. Dietro la porta di Casari, Rambone sognava di diventare un giorno come “Geppesonne”.
Mimì De Nicola lo portò al Cral Cirio, ardimentosa squadra di San Giovanni a Teduccio. Come ingaggio l’abbonamento al tram numero 54 da via Foria a San Giovanni. Niente soldi.
Rambone rimase cinque anni al Cral Cirio, in quarta serie, che lo cedette al Catanzaro.
Nella città calabrese, isolata tra i monti, Rambone dette fuoco agli spogliatoi per disperazione. Tre campionati nel Catanzaro, 85 partite e 26 gol.
Era un’ala efficacissima, ambidestra. Pesava 60 chili. Un filino di giovanotto, moro e appassionato con dentro il fuoco e la fantasia della Sanità.
Sfuggendo agli abbracci dei terzini, si lasciava catturare da quelle delle ragazze. Il pallone e le donne. Goleador scapestrato. Girava su una Flavia coupé prestatagli da un rivenditore d’auto.
Si sentiva “un gabbiano”, l’autodefinizione che gli piaceva molto, volando sui campi e sulle scogliere del piacere, le ragazze e la buona tavola.
Si innamorò di una ragazza che vendeva dolcetti all’angolo della Standa in via Roma, Maria Paolucci, miss “Stella di Napoli”. L’accompagnava ogni sera in metropolitana sino a Bagnoli dove lei abitava.
Si sposarono nel 1960 quando, al colmo della felicità, Rambone approdò al Napoli per giocare in prima squadra nella stagione 1959-60. Aveva 24 anni.
“Tu sei napoletano e devi firmare l’ingaggio in bianco” gli disse Lauro. Avrebbe giocato gratis pur di indossare la maglia azzurra.
Debuttò contro la Spal al Vomero, il Napoli messo sotto dalla squadra ferrarese (3-0). Gennaro andò in campo con la febbre a 39 per l’emozione. La sconfitta lo tolse di squadra.
Tornò a giocare alla dodicesima giornata nel nuovo stadio di Fuorigrotta e nell’attacco con Di Giacomo, Vinicio, Del Vecchio, Pesaola. Portò in vantaggio il Napoli, ma poi il Bari rimontò (2-1). Non gliene andava bene una.
Nella successiva partita a Genova, contro la Sampdoria, fece gli assist per i due gol di Vinicio che assicurarono la vittoria al Napoli. Ma Amadei lo riportò tra le riserve.
Nel Napoli, otto partite in tutto. Voleva spaccare il mondo. Ma il Napoli era un covo di rivalità e veleni. Gennaro Rambone preferì affogare i dispiaceri del pallone facendo le ore piccole a Mergellina con i pescatori e andando al night.
Era di moda il “Trocadero”. Nel night di via Partenope concluse la carriera col Napoli. Una sera, attrae al suo tavolo un’avvenente ballerina francese, Lelo Fiò. Un cameriere si avvicina dicendo alla ragazza che un cliente molto importante la vuole al suo tavolo. Rambone protesta. Il cameriere torna con un assegno per la ballerina. L’invito irresistibile va a vuoto perché Gennaro trattiene la ragazza che resta volentieri con lui.
Il giorno dopo, Rambone fu svegliato all’alba da Paolo Uccello, segretario del Calcio Napoli, che gli dice di andare da Lauro che lo cerca. Si vestì e andò alla villa del Comandante. “Tu vai troppo al night” gli disse Lauro. “Rambone, tu vai al night e a me nun me fai fesso. Vai al night e ti prendi pure le ragazze che piacciono a mio figlio”. Il cliente importante che, al “Trocadero, aveva invitato la ballerina francese era Gioacchino Lauro.
Fu l’anno in cui Rambone si invaghì di Sylva Koscina e lei più di lui. La raggiungeva in auto a Roma, al corso Italia dove la Koscina abitava. Gennaro troncò la relazione quando capì che Silvia Koscina “si stava proprio innamorando”. Era un problema. Quei continui viaggi a Roma lo distraevano dal calcio e lo stancavano.
Una volta tornò all’alba, l’auto ebbe un guasto e Rambone si presentò tardi all’allenamento. Amadei lo mise fuori squadra. Rambone capì che doveva andare via da Napoli.
Tornò a Catanzaro da dov’era più difficile raggiungere Roma e la Koscina. Non c’era ancora l’autostrada. Giocò due splendidi campionati, capocannoniere nella prima stagione.
Poteva andare alla Juve, ma finì al Brescia. Poi giocò un anno nel Venezia. 52 gol in carriera e mille scappatelle. Perse la moglie aggredita irrimediabilmente dal cancro.
Un giorno si seppe di Rambone e Wanna Marchi. Ci rimise tempo e soldi. E ormai pensava di fare l’allenatore. Lo assunse Tapie all’Olympique Marsiglia come preparatore. Rambone era un fissato e uno studioso della preparazione atletica dei giocatori. L’avventura francese durò un anno perché Tapie fu travolto dagli scandali.
Ricordava sempre con commozione l’impresa, al fianco di Pesaola, del campionato 1982-83 quando i due assicurarono al Napoli la permanenza in serie A.
Il gabbiano Rambone ha concluso il suo volo. Ha volato molto col cuore, con generosità, animo di poeta, ha scritto poesie e canzoni, polemista acceso nelle trasmissioni televisive, poi un compagnone per tutti i suoi amici.
<strong>Mimmo Carratelli (da napoli.com)</strong>

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