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La Juve alla ricerca del tempo perduto: Allegri non era mai davvero andato via

Da Allegri ad Allegri, stritolando nel mezzo prima Sarri e poi Pirlo, per una restaurazione in due anni. Alla Juve va di lusso pure quando falliscono

La Juve alla ricerca del tempo perduto: Allegri non era mai davvero andato via
Photo Matteo Ciambelli

Allegri non ha mai smesso di allenare la Juve. Nelle ultime due stagioni l’ha fatto dalla sponda d’un metaforico fiume, a contemplare la rivoluzione giochista scorrere via. Panta rei. Il ciclo della natura bianconera s’è chiuso in un vortice. Da Allegri ad Allegri, stritolando nel mezzo prima Sarri e poi Pirlo. Una restaurazione in due anni.

Si fossero inventati una macchina del tempo, a Mirafiori nel 2019 – una Duna volante – avrebbero fatto un salto al 2021 e si sarebbero trovati dentro le rovine di Pirlolandia. Terrorizzati. La Juve sconfitta a Torino dal Benevento. “Mioddio cosa abbiamo fatto!”. Tornati indietro avrebbero messo nelle tasche del giovane Agnelli il Grande Almanacco Sportivo e avrebbero deviato il corso del destino. Fine della metafora Ritorno al Futuro, ma il senso è quello.

La Juve è nel suo momento Proustiano, alla ricerca del tempo perduto. Non poteva che rinsavire, faticosamente, riprendendosi il tecnico dei cinque scudetti su cinque, delle quattro coppe Italia, delle sue Supercoppe, e soprattutto delle due finale di Champions. Angosciati dalla maledizione della vittoria che è l’unica cosa che conta, rimarginano una ferita. Come se chiedessero scusa al proprio destino. Sacrificando, in cambio, il povero Pirlo.

Alla Juve, tra l’altro, non riescono nemmeno a fallire per bene. Nei due anni di interregno hanno portato a casa comunque uno scudetto, una Coppa Italia e una Supercoppa. Il che è un bene, ovvio, ma anche un male: lascia sul campo il dubbio, l’incertezza, il bivio. Dove abbiamo sbagliato? Ma soprattutto: abbiamo sbagliato?

Volevano scrollarsi di dosso la polvere del pragmatismo, ad un certo punto – supponiamo per assuefazione – diventato quasi una bestemmia. Due anni cancellano tanto, ma non tutto. Torna l’Allegri che finì criticato per la grande bruttezza dei suoi successi. Il demistificatore della sua stessa categoria professionale: l’allenatore che s’adatta, contano i giocatori, le idee molto meno. L’ha dettato in una stralunata serata televisiva al club di Caressa qualche mese fa. Pareva un alieno. Agnelli, commissariato da John Elkann, s’è rimangiato la nouvelle vague.  Hanno avuto la fortuna di ritrovare Allegri ancora a piede libero, ingolfatosi in un limbo sabbatico che stava perpetrandosi anche troppo.

Con un tempismo da navigati monopolizzatori del mercato, hanno licenziato Paratici e il giorno dopo – appena Conte ha liberato l’Inter a peso d’oro – hanno chiuso tutto. C’eravamo tanto amati, mi vuoi ri-sposare?

Allegri torna da conquistatore totale. Il Giornale – tra gli altri – scrive che “si vorrebbero assegnare ad Allegri compiti più ampi, quasi da manager inglese. Sua l’ultima voce in capitolo sul mercato, “come invece non era accaduto durante la sua precedente esperienza”. Troverà Federico Cherubini a fargli da spalla, stavolta. E un club a capo chino, in attesa di redenzione. Cercare Guardiola in Sarri e Pirlo, un peccato mortale.

Allegri non era mai davvero andato via. Aspettava solo il contropiede giusto. Ha vinto di nuovo, senza nemmeno giocare.

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