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Pio e Amedeo: «Noi col “catcalling” ci abbiamo fatto la carriera. Che vergogna Emigratis…»

I due comici al Corsera: «Ormai non si può più dire niente. E questa follia che siamo tutti uguali deve finire, Flavia Vento non è uguale a Piero Angela»

Pio e Amedeo: «Noi col “catcalling” ci abbiamo fatto la carriera. Che vergogna Emigratis…»

Pio e Amedeo, che ai tempi di Emigratis facevano figuracce in giro a nome e per conto dell’ “italiano medio”, per lo più massacrando vip a rotazione, vanno ora in prima serata su Canale 5 con una specie di varietà dal titolo classicissimo, «Felicissima sera». E in un’intervista al Corriere della Sera parlano del loro politicamente scorretto fisiologico, in contrapposizione ai “superperbenisti”, ché ormai “non si può dire e fare più niente”.

«Il politicamente corretto è l’arma social di chi non ha niente da dire, di chi non ha talento e allora si appiglia lì, perché non ha argomenti. L’ossessione a essere dalla parte del giusto e la corsa al consenso sono una piaga».

E poi i social ormai sono uno sfogatoio che tutto livella, verso il basso.

«Persone che non avevano nemmeno il diritto di parlare al pranzo di Natale in famiglia perché non avevano il carisma per farlo, adesso si sbizzarriscono sui social. Questa follia che siamo tutti uguali deve finire, Flavia Vento non è uguale a Piero Angela».

«Lasciala stare, Flavia e io abbiamo la stessa taglia di seno… È body shaming questo? Io mi guardo allo specchio e penso quanto faccio schifo; se lo dico però la gente mi attacca. Manco l’auto body shaming si può fare, non c’è più nemmeno il diritto a offendersi da soli».

E il catcalling?

«Ho paura anche a rispondere, mi viene una tensione lungo la schiena. Già li vedo con l’indice puntato. Noi con il catcalling ci abbiamo fatto la carriera, perché Emigratis quello era. Mia mamma per anni ha fatto catcalling con me perché avendo tanti figli e fratelli e non ricordandosi mai il mio nome, mi fischiava sempre: ahó, vieni qua. Questo è mother catcalling».

Non vi vergognate mai?

«Con Emigratis sì, interpretavamo dei personaggi e facevamo cose che mai faremmo nella vita vera. Era come essere protetti da un casco da supereroe, ma ci vergognavamo noi e soprattutto i nostri parenti».

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