La decrescita del Napoli fermo a metà strada tra futuro e passato
Il Napoli è a metà del guado tra teoria e pratica: vuole essere dominante ma al tempo stesso stenta a staccarsi da alcune reminiscenze del passato, come difendere sempre a cinque

Napolis Dutch defender #31 Sam Beukema reacts at the enD of the Italian Serie A football match between Torino and Napoli at The Grande Torino Stadium in Turin on October 18, 2025. (Photo by MARCO BERTORELLO / AFP)
Problemi offensivi
Il Napoli visto e sconfitto a Torino ha denunciato le stesse incertezze che si erano intraviste, più o meno diffusamente, nelle altre partite di questa stagione. Fondamentalmente, per condensare tutto in una sola frase, la squadra di Conte non ha ancora trovato il miglior abito tattico da indossare, soprattutto dal punto di vista offensivo. Finora questo problema era stato in qualche modo mascherato, o comunque ridimensionato, da alcune grandi prestazioni dei singoli. E dalle intuizioni di Conte, che in diverse occasioni è stato bravo ad adattarsi, a leggere le partite e a intervenire laddove occorreva. A Torino, tutto questo non è avvenuto. Per via delle assenze, un tema che non può essere ignorato nell’analisi della partita. Per via anche dei meriti del Torino, una squadra razionale nella sua aggressività. E, non in ultimo, per via di alcune scelte di Conte che si sono rivelate infruttuose.
Ma andiamo con ordine, cioè partiamo dalle formazioni scelte da Baroni e Conte. Il Torino è sceso in campo con un 3-5-2 abbastanza atipico e fluido, in cui Tameze – il braccetto di destra della difesa a tre – si alzava spesso a centrocampo per aiutare i compagni in fase di costruzione, in cui Pedersen era costantemente in proiezione offensiva, ma che al tempo stessi riusciva facilmente a compattarsi in un 5-3-2 piuttosto intenso, per quanto scolastico, in fase difensiva. Guardando al il Napoli, invece, l’idea di Conte era quella di ribaltare il fronte sul quale si determina la difesa a cinque in fase di non possesso. Stavolta l’esterno offensivo a sinistro (Spinazzola), e non quello destro, era quello che rinculava di più e andava ad allinearsi accanto ai difensori. Di conseguenza, a cascata, la squadra azzurra si è ritrovata a difendere con un inedito, più o meno, 5-4-1:
+
Il 5-4-1 del Napoli in fase di non possesso
In fase di costruzione, questo sistema si deformava in diverse modalità. La più frequente prevedeva la salida lavolpiana di Gilmour in mezzo ai due centrali, l’arretramento contemporaneo di De Bruyne sulla linea dei centrocampisti, lo sganciamento di Di Lorenzo e Olivera e la scalata in avanti di Spinazzola. In pratica, quindi, l’esterno sinistro ex Roma e Juventus ha “fatto il Politano”, oscillando come un pendolo tra la difesa a cinque e l’attacco a tre. Dall’altra parte, Neres ha giocato una partita più lineare, da esterno offensivo puro.
Schierandosi con questo sistema, però, è come se il Napoli avesse deciso volutamente di sottrarre un attaccante alla sua fase offensiva. A riempire l’area avversaria. Perché, molto semplicemente, nel primo tempo non c’è stato nessun giocatore in maglia azzurra che ha fatto ciò che di solito fa McTominay, ovvero affiancarsi alla prima punta mentre i compagni sviluppano gioco sull’esterno. Da questo punto di vista, le immagini dicono e valgono molto di più rispetto alle parole:
In entrambi gli screen, ci sono solo gli esterni a supporto di Lucca: Spinazzola in alto, Di Lorenzo e Olivera nel frame sopra
Assenze e presenze
Tornando al discorso iniziale sulle assenze: per quanto finora sia stato poco impattante per gol e assist accumulati, Scott McTominay resta comunque un’arma tattica di enorme importanza per il Napolii. Nessun altro centrocampista a disposizione di Conte, dal punto di vista tecnico ma anche fisico, ha caratteristiche anche solo lontanamente paragonabili a quello dello scozzese. Che, l’abbiamo già detto, magari non avrà vissuto un inizio di stagione brillante. Al tempo stesso, però, assicura una presenza minacciosa in area di rigore, una presenza che costringe gli avversari di turno a raddoppiare le marcature e quindi gli sforzi. Forse nessuno ricorda questo passaggio, ma McTominay – tanto per dirne una – è stato fondamentale in occasione del gol di Hojlund contro il Genoa: fu proprio lui ad accomodare il pallone prima del tiro di Anguissa.
Lo stesso identico discorso si può fare anche con e per Hojlund. Al di là del rendimento impalpabile di Lucca, di cui parleremo tra poco con maggior puntualità, l’assenza del centravanti danese si è fatta sentire in modo significativo. Per un motivo facile da individuare e comprendere: senza di lui, il Napoli non può stressare la difesa avversaria attaccando la profondità. Anzi, nel corso della gara di Torino la consegna affidata a Lucca era proprio quella di giocare da pivot, in post basso direbbero gli amanti del basket, così da ricevere palla in zona centrale.
Conte – che naturalmente conosce i suoi uomini, i loro pregi e le loro debolezze – sapeva e sa che l’ex centravanti dell’Udinese va innescato diversamente rispetto a Hojlund. In questo modo, però, sia Maripán che Coco – i due difensori del Toro che si sono alternati nella marcatura di Lucca – si sono ritrovati a dover difendere una sola zona di campo, sempre la stessa. E hanno fatto un figurone:
In alto, la mappa dei 18 palloni spazzati da Maripán (8) e Coco (10). Sopra, invece, la mappa di tutti i 18 palloni giocati da Lucca
In virtù di tutto quello che abbiamo detto finora, è facile capire come sia andata la prima parte di Torino-Napoli. Alla squadra di Baroni, di fatto, è bastato rimanere aggressiva e quadrata per portare gli avversari laddove potevano essere meno pericolosi, ovvero sulle fasce. E così, nei primi 60 minuti di gioco, sono venuti fuori 15 cross tentati da parte degli azzurri, con soli 3 tentativi andati a buon fine.
Certo, c’è anche da dire che De Bruyne (minuto 23) e Olivera (minuto 26) hanno avuto due ottime occasioni per trovare il vantaggio, che poco prima del gol di Simeone il Napoli stava muovendo la palla con più velocità e qualità. Ma, visto com’è andata il resto della partita, si può parlare di azioni sporadiche per non dire fortuite (il tiro di De Bruyne, infatti, è stato innescato da una giocata horror di Pedersen). Poi c’è da sottolineare che, guardando alla miglior azione costruita dalla squadra di Conte, il giocatore messo a tu per tu con il portiere avversario era un terzino sinistro da otto gol in carriera a 28 anni. E in fondo il problema del Napoli visto a Torino, a pensarci bene, era ed è proprio questo.
Una bella azione, una delle poche
Insomma, per riassumere tutto il discorso in una sola frase: il Torino non ha dovuto spremersi o ingegnarsi più di tanto per limitare – se non addirittura per neutralizzare – l’attacco del Napoli. Dall’altra parte del campo, poi, la squadra di Baroni è stata brava e fortunata. Perché un Napoli così messo in campo, ovviamente, si è ritrovato a dover gestire una transizione negativa a dir poco complicata. Per qualsiasi squadra, infatti, è davvero difficile far retrocedere un numero elevato di giocatori nella propria metà campo una volta perso il possesso.
È così che si è materializzato il palo di Vlasic al quarto d’ora, cioè attraverso un buco tra le linee sfruttato benissimo dal centrocampista croato. Per quanto riguarda il gol di Simeone, invece, i granata hanno avuto un grosso aiuto dalla sorte: il Napoli aveva difeso bene su un pallone dalla destra, poi però un tocco maldestro e involontario di Gilmour ha messo Simeone solo davanti a Milinkovic-Savic.
Dopo i cambi
Trovatosi sotto nel punteggio, e dopo un inizio di ripresa ancor più sterile rispetto al primo tempo, Conte ha deciso di cambiare sistema di gioco. E l’ha fatto inserendo Lang al posto di Olivera, con conseguente “retrocessione” di Spinazzola sulla linea difensiva. Si è determinato così un ritorno al 4-3-3 puro, quello che diventa 4-5-1 in fase difensiva, ma non sono stati affrontati e risolti i problemi manifestati nella prima parte di gara. Anzi, paradossalmente gli azzurri si sono ritrovati a vivere le stesse criticità elevate a potenza, visto che lo sviluppo esasperato sulle fasce non trovava alcuno sfogo a centro area. Ovvero, per dirla brutalmente, Lucca ha continuato a rimanere molto, troppo solo.
In occasione di una delle migliori azioni costruite dal Napoli nella ripresa, quella finita col tiro fuori di De Bruyne, Lucca era l’unico giocatore ad aggredire l’area sul cross di Lang
E nel frattempo fioccavano cross su cross: dal minuto 60′ al minuto 97′, la squadra di Conte ha tentato addirittura 21 traversoni. Di questi, solo 3 sono andati effettivamente a buon fine, cioè hanno portato a una conclusione effettivamente tentata. In totale, quindi, nel corso di Torino-Napoli gli azzurri hanno eseguito 34 cross – considerando ovviamente quelli alti e quelli bassi. Uno ogni tre minuti, se volessimo fare una media abbastanza rustica.
È un numero eccessivo, non ci sono dubbi. Così come, dati alla mano, non ci sono molti dubbi sul fatto che il Napoli abbia costruito un certo numero di occasioni importanti. Si pensi, in questo senso, al palo di Politano (prima del gol annullato a Lang) e ai tiri sparati alti di De Bruyne (minuto 68′) e di Elmas (minuto 88′), entrambi su assist/cross da sinistra di Spinazzola – ancora una volta il giocatore più ispirato tra gli azzurri. Nel finale, Conte ha inserito Ambrosino al posto di Lucca e ha cercato di avvicinare Anguissa e anche lo stesso Elmas (entrato al posto di Gilmour) al suo giovane attaccante per correggere il grande difetto manifestato dalla sua squadra, ma non è andato le alle occasioni di cui abbiamo detto.
Le parole di Conte
Il punto, però, è che le palle gol del Napoli sono arrivate nel contesto di una partita in cui la squadra di Conte ha dato l’impressione di essere a dir poco prevedibile. E quindi possono essere considerate come una conseguenza del maggior valore assoluto degli azzurri rispetto a quello dei granata, non come il frutto di scelte tattiche indovinate. È chiaro, un eventuale pareggio e/o addirittura una vittoria del Napoli avrebbero ribaltato questi giudizi, più o meno come avvenuto in occasione di altre partite stagionali giocate con lo stesso approccio e finite con un risultato diverso (ovvero quelle contro Cagliari, Pisa, Sporting e Genoa). Al tempo stesso, però, i segnali di (de)crescita erano già stati avvertiti. Erano già evidenti. Poi ci si sono messe anche le assenze e la sfortuna, ad aggravare la situazione di Conte.
Nel postpartita, l’allenatore del Napoli ha cercato di giustificare la sconfitta snocciolando statistiche e rivendicando un cambio di mentalità, da parte della sua squadra. La quale, secondo le parole di Conte, deve giocare in modo più dominante – cioè con un possesso palla più accentuato e un baricentro più alto – rispetto al passato. È una visione legittima, se letta da un punto di vista ideologico e quindi idealistico. Ma va anche ingegnerizzata, dal punto di vista tattico, prima di e per ogni partita.
Nel caso di Torino-Napoli, tanto per fare qualche esempio, la scelta di sostituire McTominay con Olivera, cioè con lo spostamento di Spinazzola nel ruolo di esterno sinistro, non aveva certo le sembianze di una mossa offensiva. Così come il passaggio al 4-3-3 e/o l’avanzamento di un centrocampista accanto alla prima punta sarebbe potuto avvenire prima. Per riempire l’area di rigore, così come per aiutare un Lucca non ancora a suo agio come centravanti titolare di una squadra come il Napoli.
Conclusioni
Insomma, il Napoli è una squadra che si sta trasformando in qualcosa di diverso da sé. Che, per via di questa trasformazione in atto, sta faticando a trovare una fisionomia davvero efficace. E che, allo stato attuale delle cose, è a metà del guado tra teoria e pratica, tra parole e realtà: tende a essere dominante, vuole e prova effettivamente a esserlo, ma al tempo stesso stenta a staccarsi da alcune reminiscenze del passato, come per esempio l’obbligo di difendere sempre e comunque con una linea a cinque – almeno nella configurazione iniziale della fase di non possesso.
Un concetto espresso più volte dallo stesso Conte, ma anche dai suoi giocatori, è che ora come ora non c’è tempo per allenarsi davvero su qualcosa di diverso. E in effetti, dopo un break internazionale di due settimane, il Napoli sarà di nuovo in campo tra poche ore a Eindhoven. Dove, per altro, affronterà una gara decisiva per il suo percorso in Champions.
Probabilmente è vero che questa nuova condizione non ha permesso e non permetterà agli azzurri di lavorare come vorrebbero su un assetto che faccia combaciare tutti i pezzi del loro nuovo puzzle. Al tempo stesso, però, è necessario che Conte trovi delle soluzioni che permettano al Napoli di rendere di più, e meglio, anche durante i momenti di difficoltà e/o di precarietà. Al netto delle assenze e della sfortuna. È successo l’anno scorso, può succedere di nuovo quest’anno, anche se bisogna governare la Champions e il break internazionale e il turn over. È così, è solo così, che le squadre diventano davvero grandi.