L’uomo che riesce a stare in apnea per 29 minuti: «E’ stato orribile, una tortura»
Vitomir Maričić alla Faz: "E' soprattutto un lavoro mentale. Spengo tutto. E' questo che cerco: la sfida mentale oltre la mia zona di comfort"

Vitomir Maričić ha 40 anni, ha studiato informatica, matematica e fisica all’Università di Fiume. E’ un istruttore di apnea appassionato di sport estremi. E riesca a stare senza respirare, in apnea a pelo d’acqua per 29 minuti e 3 secondi. La Faz l’ha intervistato. E lui ha raccontato un mondo di limiti che non esistono. “Voglio vedere e vivere le cose a modo mio. Quando mi pongo un obiettivo, ho una mentalità razionale, a volte quasi priva di emozioni. Ma anche in quel caso, quando altri vedono un estremo quasi insormontabile o un pericolo, io sono assolutamente sobrio e metto a confronto la sicurezza con l’autoconservazione. In realtà è tutto molto ben calcolato; so esattamente cosa sto facendo. Quando si tratta di estremi, sono estremamente cauto. L’apnea è più impegnativa mentalmente per me che fisicamente. Ed è questo che cerco: la sfida mentale oltre la mia zona di comfort. Una volta che hai imparato a gestire mentalmente le immersioni a tali profondità, impari a goderti l’esperienza. Questo mi dà gioia”.
Dice che scendere a 100 metri senza ossigeno è “come un bel viaggio in auto, vado dal punto A al punto B, senza molto traffico. Per prima cosa, si eseguono gli esercizi di respirazione per prepararsi. Ci si mette in uno stato meditativo, uno stato di flusso. Idealmente, dopo questo, i miei pensieri saranno completamente scomparsi e il mio corpo funzionerà in modalità pilota automatico. Poi inizia l’immersione, durante la quale devo spendere un po’ di energia per superare la spinta di galleggiamento dei primi 10-20 metri. Dopodiché, mi rilasso completamente, mi lascio andare e cerco di trovare la posizione perfetta del corpo per cadere verticalmente verso il basso con il minimo sforzo possibile, ovvero con la minima resistenza possibile. Trovo questo processo molto piacevole e rilassante”.
“Posso ridurre significativamente la mia frequenza cardiaca da 70 a 30 battiti al minuto quasi con il semplice tocco di un pulsante”.
Come si fa a reprimere l’impulso di respirare, soprattutto quando si riemerge? “Si impara a controllare la “spinta” fin dall’inizio. Anche quando soffriamo di grave ipossia, non sentiamo realmente il bisogno di respirare. La nostra respirazione è innescata interamente dal nostro metabolismo, dalla CO2 . Quindi, quando ci sentiamo senza fiato, vogliamo davvero espirare. Questo perché la CO2 nel corpo lo avvelena lentamente. Bisogna quindi fare attenzione durante la risalita. A seconda della corporatura e del subacqueo, la risalita sarà più veloce o più lenta. Ma bisogna impegnarsi e assicurarsi che i muscoli funzionino correttamente, che la tecnica sia buona e che la postura sia idrodinamica. Le immersioni possono essere pericolose per la vita”
“Grazie all’alpinismo, sono esperto nell’allenamento in ipossia (allenamento in quota, ndr). In genere, bisogna allenarsi in modo da resistere all’ipossia per lungo tempo. Possono volerci anni per preparare il corpo a un livello così elevato. E poiché ho studiato matematica, fisica e informatica, affronto la mia preparazione in modo molto scientifico e metodico”.
Il record mondiale di 29 metri l’ha battuto ossigenando il sangue inalando ossigeno puro da una bombola pochi minuti prima dell’immersione. “È come se fosse una disciplina completamente diversa. Avevo un’acidità del sangue diversa, una composizione del sangue diversa. Ma non è solo la componente fisica a rendere questo record così difficile. Trattenere il respiro a un certo punto è molto impegnativo mentalmente. Devi costringere il tuo corpo a non fare nulla. Devi costringere la tua mente a non andare da nessuna parte, a non concentrarsi troppo su nulla. E devi spingerti al limite. Ma se ti spingi davvero al limite, un’immersione del genere può sembrare infinita. Nessuno sa quando potrebbe finire. Ho giurato che non l’avrei mai più fatto perché è stata un’esperienza orribile. È come una tortura per il corpo. Tutti i miei meccanismi di sicurezza interni, che conosco dall’apnea, sono stati disattivati perché l’apporto artificiale di ossigeno mi ha fatto avere più ossigeno nel sangue del normale. Senza questo apporto, posso trattenere il respiro per dieci minuti. Dovevo aspettarmi molte cose, come il collasso polmonare, l’avvelenamento da CO2 o un’emorragia interna”.