Annunciato da De Laurentiis come il prosecutore del 4-3-3, il francese non perde occasione per dire e mostrare che bisogna cambiare

Chi è piuttosto addentro alle cose del Napoli, assicura che nessuno – nemmeno i dirigenti considerati più vicini a De Laurentiis – sapeva della scelta di Rudi Garcia come nuovo allenatore del Napoli. Il che è probabile, la scelta degli uomini guida è sempre stata di competenza esclusiva del signor Aurelio. Che vanta un’ottima conoscenza del materiale umano: ambizioni, debolezze, personalità. Il che gli consente di spesso (non sempre, vedi Spalletti) di esercitare un dominio sul dipendente nonché di prevederne le mosse. Quando lo presentò a Capodimonte, Adl disse che aveva scelto Garcia perché era un allenatore da 4-3-3, quindi in continuità con la gestione spallettiana. Anche in conversazioni private, nei giorni frenetici della ricerca del nuovo tecnico, a ogni interlocutore chiariva che il futuro allenatore del Napoli avrebbe dovuto giocare col 4-3-3. E in particolare la squadra sarebbe dovuta ruotare attorno a Lobotka.
Adesso non sappiamo bene cosa realmente De Laurentiis sapesse calcisticamente di Rudi Garcia. Fatto sta che più o meno dal primo giorno, sia pure con toni e sfumature diverse, il francese di Nemours ha lasciato intendere che la sua idea di calcio era differente. Ha cominciato battendo sul tasto del pericolo della pancia piena. Ha ripetuto praticamente sempre, sempre, che lui quando vinse lo storico scudetto del Lille l’anno dopo rimase e non se ne andò (chi vuol intendere, intenda). E poi ha introdotto il concetto delle novità tattiche, della squadra camaleontica. Fino ad attaccare veri e propri dogmi della sacralità pallonara partenopea: dobbiamo imparare anche a giocare a due punte. Roba da teste tagliate in piazza Mercato.
C’è un precedente in città. L’approdo sulla panchina del Napoli di un certo Carlo Ancelotti che successe a Sarri e ai suoi 91 punti. In un clima di fondamentalismo. Ancelotti cominciò a picconare il khomeinismo calcistico con dichiarazione eversive, come ad esempio che per lui il portiere doveva innanzitutto parare, fino al pressoché immediato abbandono del 4-3-3 dopo il tonfo in casa della Sampdoria. Restaurazione col 4-4-2, spostamento di Insigne seconda punta. Si sfiorò l’attentato, o quantomeno il rapimento con conseguente processo politico.
Non ripercorriamo l’avventura napoletana del “gestore”: ancora così tanti incompetenti che tifano Napoli etichettano il signore che allena il Madrid.
Più o meno l’avvento di Garcia ci ricorda quel che avvenne ormai cinque anni fa. Con alcune diversità, ovviamente. Spalletti è stato amato ma non idolatrato come Sarri. Con Spalletti è stato un amore frutto dei risultati; quello con Sarri era genetico, identitario, antropologico. Anche perché di risultati non ce ne furono.
Ancelotti naufragò perché De Laurentiis si spaventò e non se la sentì di appoggiare il suo progetto di rompere con i senatori e di schiudere nuovi orizzonti al Napoli. Dovemmo sorbirci la trovata autolesionistica di Gattuso prima di comprendere che il gestore aveva ragione, fare piazza pulita e vincere lo scudetto.
Quell’esperienza qualcosa potrebbe aver insegnato. Non a caso il Napoli – come scritto qualche settimana fa – sta procedendo a una serie di rinnovi nel tentativo di rendere i calciatori sereni e più disponibili a digerire novità di campo. Resta ovviamente il nodo tattico. Di Lorenzo ieri è stato sincero: “non dobbiamo commettere l’errore di non credere nelle cose nuove”. Lui c’era con Ancelotti. Fu uno dei pochissimi a salvarsi dal disastro che portò all’ammutinamento. Quindi sa bene di cosa parla. Ma al fondo, ovviamente, fu De Laurentiis che si spaventò.
Stavolta è un po’ diverso. Non siamo proprio allo stravolgimento, si è giocata appena una partita ufficiale, ma qualcosa si intravvede. Più di qualcosa. I principi di gioco sembrano piuttosto chiari. Anche lui, come Ancelotti, vuole arrivare in porta rapidamente e ieri si è comprensibilmente lamentato perché dal limite dell’area si tira, non c’è alcuna legge che lo vieta. Come Ancelotti rinunciò a Jorginho, Lobotka a Frosinone (soprattutto nel primo tempo) è stato decisamente meno centrale nella distribuzione dei palloni, addirittura nel finale Garcia ha schierato Ostigard mediano e in conferenza si è divertito a dire che davanti alla difesa mancano centimetri e si potrebbe passare alla difesa a tre. Insomma l’uomo non si tira indietro, come dimostrano anche le dichiarazioni sulla deficitaria fase difensiva di Osimhen.
Noi non siamo così sicuri che De Laurentiis sapesse di questa distanza filosofica tra Garcia e Spalletti, così come non sappiamo – ovviamente – dove porterà il lavoro di Garcia. Ma sappiamo che ora il presidente ha l’esperienza per capire che, imboccata una nuova strada, va perseguita senza tentennamenti. Dovrebbe aver capito sulla propria pelle, e quindi sul proprio bilancio, che le restaurazioni non portano da nessuna parte. Se non a due anni fuori dalla Champions.