Ora anche Spalletti (finalmente) parla di malcostume del calcio italiano. L’Italia è un paese fondato sulle baronie. In ogni settore e a ogni livello
L’epifania avviene a tarda sera di un 26 ottobre quasi qualunque. Nelle viscere del fu stadio San Paolo. Conferenza stampa di Luciano Spalletti. La domanda finale è sui gggiovani. Dopo due mesi, dodici vittorie consecutive, Kvaratskhelia sul New York Times, è sorto lo stesso dubbio che ebbe Fantozzi all’ennesimo cassetto aperto con dentro filoni e filoni di pane. “Ma vuoi vedere che questa storiella dei giovani e dell’esperienza è una stronzata?” La domanda non era proprio articolata così ma ha il merito di aver posto il tema. “Questi calciatori giocano con naturalezza, non gli tremano le gambe, siamo di fronte a una generazione di giovani calciatori con maturità ed esperienza che li porta a comportarsi come se fossero calciatori navigati, giovani vecchi”.
Big Luciano ha risposto così:
“È un po’ una difficoltà del calcio italiano in generale quella di pensare che i giovani non abbiano la possibilità in questo mondo così moderno di andare ad esibire subito delle caratteristiche professionali fatte di cose importanti”.
Bum! E ancora:
“Noi abbiamo una squadra abbastanza giovane però, gente come Raspadori è un calciatore della Nazionale, gente come Simeone ha fatto gol da tutte le parti, ha cambiato già molte squadre. Poi se si allenano in un certo modo fra di loro, è facile anche far crescere quelli che hanno giocato di meno…”.
Alla dodicesima vittoria consecutiva il muro è crollato. I giovani non sono dei disadattati. Non sono – o comunque non lo sono sempre – quelli che tempo fa vennero ribattezzati bamboccioni. Torniamo a Padoa Schioppa, tempi lontani. Poi arrivò Elsa Fornero e il suo “choosy”. Fatto sta che l’Italia più che una Repubblica democratica fondata sul lavoro, è una Repubblica fondata sulle baronie. È tutta una baronia. Non soltanto nelle università. In ogni contesto. Ci sono gli anziani che stabiliscono, indirizzano, gestiscono. Tanti e tanti anni fa Bennato sul tema scrisse una canzone: “Quando sarai grande”. Non è cambiato granché.
Italiani che hanno la sventura di ammalarsi all’estero, soprattutto in Germania o in Spagna (ma anche altrove), una volta negli ospedali restano scioccati. Si confrontano con medici gggiovani. Che ricoprono ovviamente ruoli di responsabilità. Se non lo ricopri a trent’anni un ruolo di responsabilità, quando lo ricopri? A cinquanta, quando sei stato piegato da un ventennio di umiliazioni e mortificazioni imposte dal sistema baronale?
Evitiamo per l’ennesima volta di ricordare a Spalletti che anche lui era tra quelli che i gggiovani non avevano esperienza. E che avevamo perso giocatoroni come quelli che sappiamo. Non è nemmeno colpa sua. Gli allenatori dovrebbero allenare. E lui lo fa divinamente. Questo sistema mediatico, incentrato esclusivamente sugli allenatori, li trasforma in capi di Stato, in filosofi del pensiero contemporaneo. Ed è un ruolo francamente impossibile da portare sulle spalle senza sbandamenti.
Ci prendiamo il meglio dalle sue parole. In un Paese che vive immerso nella preistoria, il Napoli ha fatto quel che altrove è la normalità: ha tagliato con calciatori privi di stimoli, nel caso di Insigne e Mertens proprio a fine carriera, e ha comprato giovani giocatori talentuosi e con voglia di emergere. E di giocarsela alla pari, senza gerarchie prestabilite come nelle caserme.
Quando sei forte, sei forte. Facciamo un po’ di esempi. Rivera Giovanni ha esordito in Serie A a 15 anni. Rafa Nadal aveva 19 anni quando ha vinto il suo primo Roland Garros. Haaland ha 22 anni. Donnarumma ha vinto l’Europeo alla stessa età. I 22 anni di Mikaela Shiffrin quando ha alzato la sua prima Coppa del mondo. Il Real Madrid, così come il Barcellona, il Bayern, sono zeppi di giovani. Del resto parliamo di sport. Non dell’elezione del presidente della Repubblica. Lo stesso Mancini ha vinto l’Europeo quando ha rifondato, quando ha avuto il coraggio di puntare sugli outsider. Appena è subentrata la riconoscenza, l’importanza del gruppo, e tutte queste amenità, abbiamo perso con la Macedonia e siamo rimasti fuori dal Mondiale.
Lo sappiamo che alle prime contrarietà lo stesso Spalletti tornerà a parlare del valore dell’esperienza. È l’Italia. Siamo questo. Non sarà certo il Napoli – che pure è arrivato solo per disperazione a questa rivoluzione, mica per scelta – a invertire questa mortificante tendenza nazionale. Ci godiamo il momento. E tristemente ricordiamo che correva l’anno 1978 quando il 25enne Nanni Moretti girò il film sui gggiovani, “Ecce bombo”. Quarantaquattro anni fa.