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Guardiola ha dimostrato che non c’entra niente col Guardiolismo

Ha battuto Simeone col catenaccio. Il problema sono i follower, gli adepti di una religione che non è la sua. Il suo unico dogma è la vanità

Guardiola ha dimostrato che non c’entra niente col Guardiolismo
Porto (Portogallo) 29/05/2021 - finale Champions League / Manchester City-Chelsea / foto Uefa/Image Sport nella foto: Josep Guardiola

Il problema sono i follower. Un problema che peraltro Guardiola nemmeno si pone. I seguaci del Guardiolismo hanno appiccicato all’allenatore un “ismo” suo malgrado: l’hanno idealizzato per usarlo in battaglia, quando bisogna per forza scegliere un fronte teorico per parlare di calcio. I risultatisti e i giochisti, i feticisti del possesso palla e le milizie del catenaccio puro. Quei dogmi perfetti per la poltiglia dei social, e che chi in campo vince – come Guardiola – non ha bisogno di vendersi come una religione privata. Lui, Guardiola, è da un’altra parte. Ieri sera era a Madrid a qualificarsi per la semifinale di Champions usando il gioco di Simeone, rinfacciandoglielo quasi. Disinnescando tutta la retorica pregressa: il City attacca, l’Atletico difende. Macché. Il suo gol all’andata bastava e avanzava, per cui ha fatto di ragion virtù: non ha subito gol.

Il Cholo, sempre troppo preso dall’aderire alla sua caricatura, ha finito per spiaccicarsi su uno specchio. Che l’altro, Guardiola, aveva definito “gioco preistorico” titillando furbescamente l’orgoglio dell’avversario. “Preistorico a chi?”, Simeone se l’era segnata al dito. A bocce ferme, invece, ha firmato la resa: “Chi ha il lessico ti loda con disprezzo, ma chi ha poco lessico non è stupido”. Bastava non caderci, però. Pensarci prima.

Guardiola ha una volta di più dimostrato che col Guardiolismo non c’entra niente. Non gli interessa restare imprigionato in una rete di assiomi. Alcuni di quelli se li è inventati lui, ma per usarli, mescolarli, persino per smentirli. Il gol è vincere, possibilmente controllando il gioco. Ma ecco dove s’impigliano gli accoliti: il controllo è un concetto relativo. Anche il ripiego, l’attesa, la difesa feroce, sono una forma di controllo. Guardiola non si fa giocare addosso, ecco. E’ lui che comanda.

L’ha detto più volte: lui non gioca un solo calcio. Sarebbe sminuente per l’ego ipertrofico che indossa. Ma i suoi “tifosi” non ci arrivano: ne hanno fatto un modello, un prefabbricato tattico secondo alcuni replicabile. Non per altro in Italia assistiamo ad una rincorsa col fuso orario di schemi che Guardiola usava ormai 10 anni fa. Tra 5 anni qui in provincia cominceremo a tenere i centravanti in panchina perché “Guardiola non li usa al City”. Lui, magari, nel frattempo si sarà inventato il portiere metodista, vai a sapere.

L’Equipe scrive che l’utilizzo dell’anticalcio da guerriglia, quando serve, “è il più grande cambiamento avvenuto nel City nell’ultimo anno e mezzo”, è che i suoi giocatori “sembrano averci preso gusto”.

Perché, di nuovo, Guardiola non è il Guardiolismo. Ai suoi ammiratori eccita ritrovarsi in una corrente ma spesso vanno alla deriva, confusi dal febbrile aggiornamento tattico del loro mito. Non ne colgono la bellezza strumentale, l’azzardo e la sfida: Guardiola ha eliminato Simeone nella sua specialità. Per dimostrare di poter maneggiare un’altra sfumatura del gioco, di dominare l’avversario non per contrapposizione ma per somiglianza. Non è solo egomania, è pragmatismo.

Guardiola è un edonista, non basta a sé stesso. I seguaci, per definizione, rincorrono. Ma non gli stanno dietro.

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