«La comunicazione nel basket è di un altro livello, qualcosa di impensabile per i calciatori»
Gazzoli a Il Foglio Sportivo: «I campioni di basket lanciano pensieri profondi, ispiratori. Nel calcio due righe cliché, un aforisma a caso e arrivederci»

foto Daniele Buffa/Image Sport
Il Foglio Sportivo intervista Gianluca Gazzoli, speaker di Radio Deejay e youtuber. Da novembre conduce “Basket Zone”, su Dmax, insieme ad Andrea Meneghin.
“Solo i media tradizionali non se ne sono accorti: calciofili fino all’ultimo respiro, anche quando l’Italia fa il pieno alle Olimpiadi. Ma la svolta identitaria è già in corso. Sempre più giovani sanno che esiste il basket. E tanto altro. Se ne appassionano, curiosi. Il mio sogno è entrare un giorno in un locale con quattro tv sintonizzate su quattro discipline diverse. Come a Boston, New York: quella sì, che è vera cultura sportiva”.
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“Ho iniziato a occuparmi di basket nel 2010, chiedendomi perché non venisse raccontato in modo diverso. Eppure si tratta dello sport più trasversale in assoluto: ruota attorno alla musica, alla moda, all’underground. Può parlare davvero a tutti. La palla a due non è che un pretesto, a partire da questo weekend”.
Ha intervistato tante leggende, compreso Giannis. Racconta il loro incontro.
“Mi trovavo ad Atene, nella palestra dove Antetokounmpo iniziò a giocare a basket. Avevamo fissato un incontro formale per il giorno dopo, ma intanto lui era già lì: quando mi ricapitava? In un attimo mi sono ritrovato a marcare un’azienda: se gli avessi soltanto sfiorato un’unghia, sai che casino. Giannis si gira, fa una virata e a quel punto mi aspetto il tiro. Invece mi schiaccia in testa fortissimo. Un battesimo, un onore, filmato da tutti i presenti. Nel giro di poche ore la mia partitella è diventata virale, l’ha condivisa anche Shaquille O’neal. Il mio idolo da bambino, insieme a Kobe”.
Gazzoli segue il basket da quando era ragazzo. Sognava di diventare un giocatore professionista.
“L’ho creduto per anni. Poi quel problema cardiaco mi ha fatto capire la mia strada. All’inizio non è stato facile. mi rifiutavo di credere che lamia passione più grande fosse un pericolo: rischiavo la vita senza accorgermene. Così smetto, triste. Mi installano un defibrillatore e dimentico il basket. Un giorno però mi affaccio in un playground e quasi per caso mi rotola una palla vicino. Sono solo, inizio a fare due tiri. E da lì si riaccende la miccia: imparo a regolarmi, ad accettare la mia condizione. Per 17 anni tutto questo non l’ho rivelato a nessuno: da quando ho scritto il libro invece ho trovato tante storie simili alla mia”.
Il libro è “La mia vita a cuore libero”, edito da Mondadori.
Il basket è seguitissimo, anche se non ha numeri precisi.
“Dati precisi non li ho. Ma mi arrivano nette sensazioni di una community sempre più ampia, complice anche un comparto calcio un po’ pigro. La comunicazione nel basket è di un altro livello. Quando Milano ha perso in malo modo l’ultimo scudetto o l’Italia è uscita dalle Olimpiadi, tutti i campioni hanno lasciato su Instagram un pensiero profondo, ispiratore. Per i calciatori è qualcosa di impensabile: due righe cliché, un aforisma a caso. E arrivederci”.