Berruto sulla Goggia: come Michelangelo che affrescò la Cappella Sistina arrampicato sulle impalcature
Sul Foglio elogia la spaventosa mentalità di Sofia. Nella sua impresa c’è il rifiuto dell’idea di non potercela fare, una mentalità straordinaria

Aare (Svizzera) 14/03/2018 - Coppa del Mondo discesa libera / foto Imago/Image Sport nella foto: Sofia Goggia
“Sofia Goggia ha lavorato con una maturità e un’inaudita forza d’animo in ogni minuto dei ventitré giorni successivi alla spaventosa caduta di Cortina ed è una perfetta testimonial del mondo in cui funziona la testa di un performer assoluto, sportivo, artista, letterato o scienziato che sia”.
Un esempio di mentalità.
“Il segreto di quel capolavoro è in una spaventosa mentalità che si è tradotto nella volontà di fare tutto ciò che era umanamente possibile per raggiungere un obiettivo, con l’atteggiamento giusto”.
Il lavoro compiuto dalla sciatrice nei 23 giorni trascorsi tra l’infortunio e la sua discesa olimpica è paragonabile, scrive Berruto,
“al lavoro “matto e disperato”, come lui stesso lo ha definito, del Michelangelo che era scultore, ma fu chiamato ad affrescare gli oltre 5.000 metri quadrati della Cappella Sistina, arrampicato su delle impalcature”.
“C’è un che di “fachirico” in queste imprese: una quantità di fatica immensa e la capacità di spingersi oltre qualunque vincolo e condizionamento della logica; c’è la volontà di smentire coloro che ti dicono di lasciar perdere ricordandoti che le tue probabilità sono minime; c’è il rifiuto dell’idea di non potercela fare“.
Berruto, ex Ct della Nazionale italiana di pallavolo maschile, poi direttore tecnico della Nazionale italiana di tiro con l’arco, parla da sportivo. Nella testa dei grandi atleti che ha allenato in carriera, scrive, c’è sicuramente l’idea ossessiva di perfezionare i propri gesti, di migliorarsi continuamente, ma c’è anche un’altra caratteristica che è un prerequisito fondamentale dei campioni:
“la capacità di saper fare bene quel gesto assumendosene la totale responsabilità. Nel mondo dello sport (e non solo) non tutti hanno la capacità di restare fuori dal perimetro dell’alibi, che è la più veloce ed efficace via d’uscita di fronte all’insuccesso”.
E’ quello che Ernest Hemingway raccontava negli eroi dei suoi romanzi. Lui la definiva grace under pressure, scrive Berruto.
“Ed è ciò che è successo nei ventitré giorni e nei 2.704 metri della pista di pechino, oppure che abbiamo letto nella sfida contro il marlin di Santiago de “Il vecchio e il mare”. Il capolavoro non è nel successo in quanto tale, ma nello sforzo che serve per cercare quel successo“.