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Napoli non ha equilibrio quando parla di Insigne

Le aspettative erano alte, ma sono state tradite soltanto in parte. Le critiche sono eccessive: non è colpa sua se è soltanto un ottimo calciatore

Napoli non ha equilibrio quando parla di Insigne
Napoli 21/10/2021 - Europa League / Napoli-Legia Varsavia / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Lorenzo Insigne

Gli inglesi parlerebbero di “elefante nella stanza”, qualcosa di evidente che si fa fatica ad accettare. Il tema in proposito è la capacità di giudizio nei confronti di Lorenzo Insigne in un ambiente che è pronto a spingerlo a piacimento, in un senso e nell’altro. Gli ultimi giorni sono stati ampiamente esemplificativi di questo problema di valutazione. Il rigore sbagliato col Torino è stato lo spunto per ridimensionare il calciatore e l’uomo, colpevole di essersi lasciato andare ad un gesto di frustrazione dopo l’errore dal dischetto. Se da un lato è vero che effettivamente le percentuali in questa statistica sono negative, dall’altro non può e non deve essere un parametro così decisivo. Altrimenti sarebbero da mettere in discussione un bel po’ di grandi calciatori.

A pochi giorni da quest’evento, ci sono le prodezze della partita col Legia Varsavia, primo vero dentro-fuori della stagione del Napoli. Perché poi è sempre pronto l’elenco delle gare importanti in cui non è risolutivo. Insigne è stato, come spesso accade, l’origine della manovra offensiva anche se non è stato prodotto granché fino al quarto d’ora finale. La girata con cui porta in vantaggio gli azzurri è pregevole e l’ha confermato anche l’Uefa, l’assist con cui manda in porta Osimhen è una giocata quasi normale per la sua qualità. Allora, l’interrogativo dovrebbe sorgere in modo naturale: da dove nasce l’esasperazione?

Innanzitutto ci sono dei limiti del giocatore. Insigne è diventato il leader tecnico di una squadra che da tempo non aveva quel giocatore dall’inconfondibile calibro internazionale, quello che poi viene ceduto a peso d’oro ad una big del calcio mondiale. L’ultima stagione sotto la guida di Maurizio Sarri aveva fatto credere che potesse essere lui quel giocatore, anche se un minimo di equilibrio avrebbe fatto subito intendere che non è un esterno come Salah, da 20 gol garantiti a stagione. Non è così, dunque. Ha delle qualità indiscutibili ma senza quel nitore e quella continuità che probabilmente lo terrebbe al riparo da attacchi frequenti. Resta comunque un calciatore unico negli equilibri della squadra, che dovrebbe rivedere molto della sua fase offensiva senza di lui. Lo conferma il fatto che la maggior parte degli allenatori avuti lo ha ritenuto centrale nel progetto tecnico, a parte il solo Ancelotti che credeva in una filosofia di gioco per cui non era così indispensabile.

Napoli aveva bisogno di incoronare qualcuno e l’ha scelto per ovvi motivi: il peso tecnico-tattico e l’appartenenza su tutti. A suo modo, il tifo ha bisogno di un legame che vada oltre il campo, nel bene e nel male. Così, l’unico prodotto del vivaio che ha saputo valorizzarsi in azzurro e sposarne pregi e difetti – impresa tutt’altro che scontata – nonché il dieci della Nazionale Italiana, è oggetto di una critica che si rivolge a lui in modo feroce troppo spesso.

Non è il campione che il popolo e i media avrebbero voluto, bisogna farsene una ragione. Non ha quel tipo di continuità, non è un comunicatore ad effetto, non ha un carattere predominante. È soltanto un ottimo giocatore. Un po’ troppo poco, insomma, per fargliene effettivamente una colpa.

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