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Le cinque sostituzioni hanno stravolto il calcio, ma il calcio fa fatica a capirlo

La sensazione è che non ci sia un reale approfondimento delle potenzialità della nuova regola. Finché un giorno qualcuno non stupirà e nascerà una nuova specializzazione

Le cinque sostituzioni hanno stravolto il calcio, ma il calcio fa fatica a capirlo
Porto (Portogallo) 29/05/2021 - finale Champions League / Manchester City-Chelsea / foto Uefa/Image Sport nella foto: Sergio Aguero-Pep Guardiola

Undici signori in mutande che corrono dietro a un pallone per novanta minuti. Anche le frasi da luogo comune andrebbero aggiornate. I signori sono diventati sedici. E i minuti cento. Con le cinque sostituzioni – nuova regola che non sappiamo quanto resisterà ma intanto dura da un bel po’ – sono cambiate le ascisse e le ordinate del calcio. Eppure il calcio continua sostanzialmente a ragionare come prima. Sia il cosiddetto entorno (tifosi, giornalisti eccetera), e fin qui passi. Ma anche gli addetti ai lavori, i protagonisti. Gli allenatori e soprattutto i calciatori. Ancora immersi nella cultura sedimentata del posto fisso, del titolare, della panchina vissuta come un’onta, del giovanotto che reagisce con un gesto di stizza al tecnico che lo sostituisce.

Roba novecentesca. Che però permea l’universo del pallone. Il calcio non riesce a metabolizzare un concetto: potenzialmente le cinque sostituzioni possono stravolgere l’organizzazione e il senso della partita. Oltre alla preparazione atletica e al concetto di resa di un calciatore. È come se avessero eliminato il fuorigioco e le difese continuassero a giocare alte. La sensazione, netta, è che sono pochissimi gli allenatori che preparino realmente la partita in base al nuovo regolamento. E probabilmente perché, anche se avessero piena convinzione delle potenzialità offerte del cambiamento, è ancora troppo spesso quel muro culturale che dovrebbe essere abbattuto. Diciamo qui, per inciso, che a noi la norma non piace. Ma c’è. E forse ci sarà a lungo. Chissà, forse per sempre. Probabilmente è anche una questione di tempo. Dopo l’abolizione del retropassaggio al portiere (o meglio, della facoltà di raccoglierlo con le mani), c’è voluto un po’ prima che emergessero i portieri specializzati nel gioco con i piedi.

Ieri il Napoli ha rimontato la partita a Leicester con il notevole contributo dei panchinari (che non andrebbero più chiamati così). Sotto al 64esimo di due gol, Spalletti ha buttato subito dentro Politano ed Elmas, dopo dieci minuti Ounas (addirittura al posto di Insigne che sembrava un intoccabile con il toscano), e dopo venti Petagna e Jesus con Petagna al posto di Anguissa. Un’altra squadra, un altro assetto. Come del resto avviene in tantissimi sport. La pallavolo, la pallacanestro, l’hockey. Con la differenza che in questi sport le sostituzioni sono circolari, nel calcio no.

Si riuscirà mai ad arrivare nel calcio a giocatori adatti a un determinato schema che magari può funzionare per venti minuti? Detta così, sembra un’assurdità, una barzelletta. Ma le partite durano ormai cento minuti. E l’idea che una squadra giochi cento minuti più o meno allo stesso modo, al massimo con una variazione, sembra obsoleta. Eppure è raro, per non dire inedito, assistere ad esempio a una tripla sostituzione al 60esimo con un cambio totale di gioco. Per poi, magari dopo un quarto d’ora tornare allo schema precedente. In qualsiasi sport è la normalità. Nel calcio no. Chissà che la risposta non sia nella spiegazione di allenatori super esperti che dicono spesso: al calciatore devi dare poche indicazioni, altrimenti rischi di confonderlo. Non sembra possibile nel calcio quel che vediamo regolarmente nel basket, con il coach che disegna schemi sulla lavagnetta.

La sensazione è che al momento non ci sia un reale approfondimento delle potenzialità delle cinque sostituzioni. O meglio, non abbiamo ancora assistito a una dimostrazione di questo approfondimento. Abbiamo visto club fare calciomercato in base ad algoritmi, ma mai un allenatore tecnico mostrare venti minuti di calcio inedito da parte della sua squadra.

Come dicevamo, anche il lessico è importante. Chi parte dalla panchina è sempre figlio di un pallone minore, anche se poi dovesse segnare. E quando fa gol, reclama di cominciare dal primo minuto la prossima partita. Altrimenti è costretto a convivere con l’etichetta – ingloriosa – dell’uomo che dà il meglio di sé a partita già cominciata. Dries Mertens ha impiegato anni per strapparsela di dosso. Sono rari i calciatori che sono riusciti a invertire questo trend. Ricordiamo Massaro nel Milan, ad esempio. Per non citare Totti che entrava e segnava (Spalletti lo ricorderà fin troppo bene).

Sarà così finché un giorno non avverrà qualcosa di sbalorditivo. Di paragonabile all’ingresso dei tre fratelloni in “Colpo secco” film sull’hockey con Paul Newman. E allora nasceranno i “toreri”, calciatori che entrano per finire l’avversario stordito. Oppure saranno chiamati “velocisti, finisseur” in gergo ciclistico. E verranno fuori preparatori atletici che curano sezioni speciali dedicate a chi deve dare il meglio per non più di trenta minuti. Tutto sta a cominciare. A trovare qualcuno che rompa il muro della tradizione.

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