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Le frasi di Gattuso a Verona certificano il fallimento della sua gestione

Ha ammesso l’insubordinazione tattica dei suoi calciatori. Il Napoli è una squadra allenata male. Oltre il refrain macchiettistico, c’è ben poco

Le frasi di Gattuso a Verona certificano il fallimento della sua gestione

Sono, infine, giunti i giorni dell’epifania; quelli, cioè, in cui, squarciato il velo dell’omertà e della narrazione fantasiosa, tutti, più o meno, hanno preso coscienza dell’assoluta inconsistenza del progetto tecnico del Napoli guidato da Gattuso ed ideato da Giuntoli.

Un progetto che, a voler essere generosi, è ondivago, discontinuo, umorale.

Figlio dell’indolenza e frutto di una episodicità legata alla vena dei singoli piuttosto che ad un’idea di squadra, questo Napoli vaga da 14 mesi in un acquitrino, incapace di tirarsi su né di aggrapparsi a qualcosa che possa aiutarlo a farlo.

Come ha scritto Alfonso Fasano, la sensazione è che il Napoli, il più delle volte, non sappia che fare; il “piano di gioco”, da non confondere con il sistema, è tutt’altro che riconoscibile e la sensazione è che ciò non valga solo per chi osserva dal divano ma anche e soprattutto per coloro che in campo ci sono e quel piano dovrebbero rispettarlo.

D’altronde, non c’è nulla di episodico in un rendimento che, con diciassette sconfitte su cinquantasei partite allenate, eloquentemente racconta di una squadra semplicemente condannata ad un campionato di poco al di sopra di metà classifica. Il Napoli, replicando l’andamento del girone di andata, chiuderebbe la stagione sotto la soglia psicologica dei 70 punti. Un piede e mezzo fuori da una zona Champions che, francamente, sembrava ampiamente alla portata di una rosa che, è bene ricordarlo, è stata rinforzata seguendo pedissequamente le indicazioni del tecnico.

Una rosa che, RICORDIAMO, ha al suo interno il numero 10 della Nazionale Italiana, il recordman della storia del club, uno dei centrali difensivi più costosi al mondo, il miglior under 21 dell’ultimo europeo, un venticinquenne messicano con più di 50 gol all’attivo in Europa (che, fosse stato per Giuntoli avremmo scambiato per Boga), il portiere della Colombia e come secondo quello più promettente della scuola italiana, un centrocampista offensivo strappato alla concorrenza del Liverpool ed un centravanti di 20 anni pagato 70 milioni, per citarne alcuni.

Il Napoli è semplicemente una squadra allenata male. E, tutto sommato, le dichiarazioni ripetute fino allo sfinimento, divenute ben presto refrain macchiettistico (il veleno, non annusiamo il pericolo, la birra nelle gambe), ci consegnano una realtà piuttosto lineare; Gattuso da mesi non riesce né a porre rimedio ai problemi endemici di personalità, né ad indicare una via alternativa.

Insomma, a Gattuso è completamente sfuggita di mano la situazione. Una situazione che, sebbene inficiata anche da problemi afferenti più alla confusione progettuale che a ragioni tattiche, sarebbe stato possibile gestire molto meglio.
Domenica, nel post partita contro il Verona, ha certificato la propria impotenza, ammettendo che la squadra non lo ha seguito, non riuscendo a dare e a darci una spiegazione. Una insubordinazione tecnica passata in sordina, ma che in realtà è la pietra tombale sulla sua gestione.

Il mestiere dell’allenatore è complesso. Gattuso, francamente, non appare pronto a confrontarsi con una squadra di livello, costruita per il vertice. Per ovviare ai deficit di personalità, serviva l’esperienza giusta; che lui non ha. Per risolvere i problemi tecnico-tattici, una idea di calcio riconoscibile; e lui non l’ha data. Per limitare i danni e fare punti quando le gambe non girano, serve l’acume nel leggere le partite; e lui non ne ha.

L’unico lascito della sua gestione è il possesso palla sterile, la costruzione da dietro, divenuta una garanzia per gli allenatori avversari, che possono così costruirvici sopra le strategie per annullarci.

Basterebbe un briciolo di onestà intellettuale per ammetterlo. E per mettere a tacere, finalmente, gli ultimi dei mohicani, figli di un corporativismo imperniato sull’intoccabilità degli ex calciatori, che ancora oggi ci raccontano una realtà in cui dovremmo addirittura sentirci privilegiati ad avere un allenatore come lui.

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