La prima arbitra donna in Italia: «Mai rinunciato al rossetto, non volevo travestirmi da maschio»

Sul Corriere della Sera la storia di Grazia Pinna. «Volevo che a dirigere la partita ci fosse la stessa donna che ogni mattina si alzava e apriva il bar. Grazia Pinna, una donna che il rossetto lo metteva eccome». 

grazia pinna

Sul Corriere della Sera la storia della prima arbitra donna in Italia, Grazia Pinna. Nata a Carloforte, in Sardegna, nel 1942, la prima volta che scese in campo fu nel 1979, nel campionato amatoriale. Aveva 36 anni.

«Ero rimasta vedova e avevo due figli, uno dei quali di nome Omar, come Sivori. Sono stata appassionata di calcio sin dalla giovinezza, cresciuta, come molti sardi, con il mito di Gigi Riva. Poi quando mio marito morì mi sono ritrovata a gestire da sola un bar a Campi Bisenzio, alle porte di Firenze. Un giorno, con alcuni amici, decidemmo di dare il nome del bar ad una squadra amatoriale».

Cominciò tutto così. Grazia andava al campo di gioco, racconta il quotidiano, e contestava animatamente le decisioni dell’arbitro, finché il direttore di gara, sfinito, le disse:

«E allora vieni tu a fare questo lavoro».

Fu così che lei si iscrisse al corso e nel 1979 diresse la sua prima partita.

«In campo c’erano due squadre di ragazzini, ma era pieno di giornalisti, almeno duecento. Il giorno dopo tutti scrissero della “prima donna arbitro in Italia”. Però, vede, al rossetto non rinunciai, nemmeno in gara. Perché non volevo travestirmi da maschio, come tutti si aspettavano. Volevo che quel giorno, a dirigere la partita, ci fosse la stessa donna che ogni mattina si alzava e apriva il bar. Grazia Pinna, una donna che il rossetto lo metteva eccome».

Il giorno del suo esordio, sugli spalti, c’era anche un gruppo di femministe. Volevano offrirle il loro sostegno. Le dissero:

«Il primo maschio che oserà dirti qualcosa dovrà vedersela con noi».

Racconta gli sfottò che ha dovuto subire negli anni.

«Uno urlò che avevo le gambe storte, ma lo fulminai: avevo gambe perfette».

E ancora:

«Una volta un collega mi fece capire che ci avrebbe provato con me. Lo incrociai nello spogliatoio e gli dissi: “be’, non ci provi?”. Scappò via come un coniglio».

Le provocazioni si sprecavano.

«Una volta uno dagli spalti urlò: “Sarai brava a letto” e io risposi: “Sì, però non con te”. Mi sgridarono: un arbitro non deve mai rispondere».

 

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