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Segre: «Tocca ai giovani sacrificarsi per difendere genitori e nonni dal Covid. Sarebbe un inno alla vita»

Al CorSera: «Non ci sono solo quelli che vanno in discoteca appiccicati, ce ne sono di meravigliosi. Serve un sacrificio coraggioso. Auschwitz? Non ci tornerò mai, non lo reggo» 

Segre: «Tocca ai giovani sacrificarsi per difendere genitori e nonni dal Covid. Sarebbe un inno alla vita»

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Liliana Segre, superstite della Shoah, senatrice a vita dal 2018. Racconta la paura provata durante il lockdown, vissuto a Milano. Le sirene delle ambulanze le ricordavano quelle dei bombardamenti durante la guerra. E parla dei ragazzi di oggi, si rivolge a loro con un appello.

«Non ci sono solo quelli che vanno in discoteca appiccicati, rischiando di trasmettere il Covid, il nostro nemico invisibile, ai nonni e ai genitori. Ce ne sono di meravigliosi. Purtroppo i vecchi intubati soccombono. Ecco perché tocca ai più giovani in questo momento passarsi tra loro una parola d’ordine, quella di un sacrificio coraggioso, di essere, finché non avremo un vaccino, come Enea che porta sulle spalle il padre Anchise. Sarebbe davvero un inno alla vita. Così come sarebbe importante, nell’attuale incertezza sulla riapertura delle scuole, che fossero loro, i ragazzi, a dire:“Noi ci siamo”. In presenza o a distanza, senza approfittare di questo momento per saltare la scuola. Io fui cacciata a 8 anni e fu un dramma. Mentre l’amore per lo studio, in diversi momenti, mi ha salvato».

La Segre racconta di non essere mai tornata ad Auschwitz e di non volerci tornare mai.

«No, non ci tornerò, perché non lo reggo. Anche se mi dispiace moltissimo perché lì ho perso le persone più care».

E parla anche di Primo Levi. Racconta di non averlo mai incontrato.

«Ma gli scrissi due volte. La prima subito dopo avere letto Se questo è un uomo, perché speravo che l’amico Alberto, di cui scriveva, potesse essere mio padre. La seconda volta fu dopo l’uscita de I sommersi e i salvati, nel 1986. Mi turbò molto. “Basta — gli dissi — se da Auschwitz non si esce mai, come lei sostiene, e se anche i salvati sono sommersi, allora non c’è speranza”. Mi rispose con una lettera secca: “Se non l’ha ancora capito, è inutile che ne parliamo”. L’anno dopo si tolse la vita».

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