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La verità è che a Balotelli è impossibile volergli male

Buca i media, sempre e comunque. La sua cacciata dal Brescia è sulle prima pagine di tutto il mondo. È un’icona pop, che piaccia o no

La verità è che a Balotelli è impossibile volergli male

Balotelli, in fondo, è come Beautiful. Lo lasci a terra agonizzante per un calcione a sangue freddo di Francesco Totti, e te lo ritrovi sbattuto fuori – sempre calci sono – dal centro d’allenamento del Brescia, come un anonimo viandante in cerca di un uscio misericordioso. In mezzo ci sono le cento puntate che non hai visto, e che non hai bisogno di recuperare per ritrovarti agganciato alla narrazione di questo animale popolare. Il calciatore mediatico, una soap opera ambulante per mezza Europa che ha saputo costruirsi una carriera da personaggio indipendente dal pallone, persino a dispetto del pallone.

C’è un motivo se il “footage” della sua cacciata apre le prime di sport di quasi tutti i quotidiani inglesi che non hanno mai smesso di amarlo e/o disprezzarlo. Se la sua storia infinita troneggia sui media tedeschi, se The Athletic gli dedica uno di quei long reading che tanto piacciono ai lettori anglosassoni. Balotelli è sovraesposto dalla Primavera dell’Inter, ma senza fatica. E’ un talento pure quello: farsi notare senza farsi schifare eccessivamente. Non è mai stato pervasivo, almeno non intenzionalmente. S’è lasciato inseguire come le dive, quelle vere. Ha lasciato passare la sacra vita sportiva del calciatore – breve ormai per cliché, poverini – arrotolandosi in una zuffa continua fatta di gossip e polemiche, gol e potenzialità. Ha fregato tutti una marea di volta, elaborando una infinita teoria di redenzione solo accennata. Uno yo-yo emotivo. Alla gente piacciono quelli così: i casi disperati che suggeriscono un lieto fine che non arriva mai.

E poi nasconde benissimo i segni del decadimento calcistico, che altri invece hanno evidenziato con troppe panze e bisbocce un po’ scontate. Adriano, Cassano, quelli là. Balotelli è un altro standard. Gode di una “mediaticità” appena un paio di punti sotto l’innominabile – sì, lui – senza aver fatto nulla di nemmeno avvicinabile per meritarselo. Non in campo.

Balotelli è un cucciolo che adotta cuccioli. Va all’allenamento dopo essersi fatto licenziare per giusta causa e ne esce a capo chino nell’ennesimo “video che ha commosso il web”. Anche i suoi odiatori gli riconoscono quell’aria da reduce seriale che fa numeri da capogiro ogni volta che una telecamera lo inquadra. È contemporaneamente il bullo dietro la lavagna con le orecchie d’asino, e il bravo ragazzo con troppi soldi, catenoni al collo e uno “sticazzi” tatuato sull’espressione fissa.

Se Chiellini volesse, potrebbe scriverci su un altro feuilleton dei suoi, la bibbia delle fesserie di Balotelli è un tomo accademico: le scacciacani, le freccette tirate ai ragazzi del vivaio, i fuochi d’artificio in casa, la gita a Scampia, gli scooter che si tuffano a Mergellina per scommessa, le banane e il razzismo, i calci alle curve, le maglie sputate per terra, e le millemila altre “provocazioni”. Un’accusa di stupro, sì, c’è anche quella, immancabile. Ma non ha ancora trent’anni, Balotelli. E Wikipedia è a portata di tutti, il suo curriculum dice: Inter, Manchester City, Milan, Liverpool, più un paio di francesi, e la Nazionale.

Potrebbe sgranarlo come un rosario delle occasioni perdute, ma non è così che la legge lui. SuperMario resta la firma dell’ultimo gol azzurro a un mondiale e di quella doppietta contro la Germania nel 2012 che lo stampò in prima pagina in posa da Hulk. Mentre lo osserviamo avviarsi alla macchina fresco di ripudio, oggi, abbiamo lì in archivio le copertine di Time e Sports Illustrated. Icona, si dice così no?

Raiola ha attaccato la sua figurina sull’album del Napoli praticamente ogni anno, e quando un giorno di settembre s’è presentato sotto il sole del San Paolo tenendo in braccio la figlia Pia (nata dalla relazione con la napoletana del Grande Fratello Raffaella Fico), è andata in stampa l’elegia del figliuol prodigo. Ha messo la testa a posto. È tornato a casa sua, a Brescia, vicino a mamma e papà. I “pochi amici fidati”. Però poi se sgarri, la provincia persa nei pensierini dei Baci Perugina non ti perdona niente. Un attimo e finisci al tg come il “bravo ragazzo che salutava sempre”, e che invece sotto sotto…

È finita che casa sua, Brescia, s’è trasformata nella trincea di una pandemia, lui ha chiuso tutto, s’è allenato poco e niente, ha indossato il broncio delle grandi occasioni e via di nuovo nel tunnel del malinteso. Troppo campione per sprecare il talento facendo cose che non fossero calciare un pallone, ma anche troppo personaggio per sprecare luci della ribalta facendo il professionista serio. Nero, e pieno di soldi, per giunta. Una volta la curva della Roma gli dedicò uno striscione: “Non ti insultiamo perché sei di colore ma perché sei uno stronzo senza onore”.

La verità è che il suo pubblico non ha mai saputo odiarlo per bene, Balotelli. Quindi ha finito per amarlo, nel bene e nel male. Persino nel peggio.

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