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Uber Eats accusata di caporalato: 3 euro a consegna, rider quasi tutti richiedenti asilo, ricattabili

Commissariato dal Tribunale di Milano. Si è appoggiato in Italia a due ditte milanesi. Le denunce dei rider africani. Uber si difende con un comunicato

Uber Eats accusata di caporalato: 3 euro a consegna, rider quasi tutti richiedenti asilo, ricattabili

Uber Eats finisce sotto sequestro. Il motivo? È accusata di capolarato, sfruttamento dei rider, i fattorini utilizzati per la consegna del cibo. A disporre il commissariamento della filiale italiana del gruppo americano è stata la Sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano.

Scrive Il Fatto:

“Due ditte con sede nella periferia milanese – la Flash Road City e la FRC – dopo un bel ciclo di colloqui coi manager della multinazionale, dal gennaio 2018 iniziano a lavorare per Uber. La loro forza lavoro è costituita in gran parte da stranieri, soprattutto richiedenti asilo o comunque con permesso temporaneo: più ricattabili e meno inclini alla denuncia”.

E proprio dalle dichiarazioni di sedici rider africani parte l’inchiesta.

Quattro di loro, racconta Il Giornale, hanno dichiarato di essere pagati a 3 euro a consegna, qualsiasi fossero la distanza percorsa, la fascia oraria (diurna o notturna e giorni festivi) e le condizioni meteorologiche in cui si trovavano a lavorare. E questo nonostante fossero stati pattuiti altri compensi.

Non solo. Secondo i rider, la retribuzione non tiene conto del valore che la stessa applicazione di Uber, attraverso la quale vengono fatte le ordinazioni, attribuisce alla singola consegna.

“In altri termini ogni rider, tramite la propria «app», visualizza subito l’importo che Uber riconosce per la corsa portata a termine (ritiro/consegna) ma nonostante questo verrebbe comunque pagato sempre e solo 3 euro a consegna”.

E se un rider decideva di protestare, si ritrovava con l’account bloccato e dunque impossibilitato a lavorare.

Sul Fatto Quotidiano altri dettagli.

Minacce, condizioni impossibili, punizioni in denaro o “licenziamento”: le decurtazioni, illecite, alla paga scattavano se la percentuale di consegne accettate scendeva sotto il 95% e questo, scrivono i giudici, “obbligava i fattorini a turni di lavoro massacranti”. I titolari delle società, non bastasse il resto, si sono pure tenuti gran parte delle mance (21mila euro in due anni) e delle cauzioni da 70 euro chieste ai riders per l’attrezzatura da lavoro (61mila euro)”

Il Fatto chiarisce perché è arrivata la decisione di commissariare Uber Italy.

Perché alcuni dipendenti e manager della società erano a conoscenza della gestione del personale e anzi – coordinando di fatto la gestione dei turni “massacranti” delle due società milanesi e collaborando alle “punizioni” (il blocco dell’account) – hanno favorito i “caporali digitali”. La società, insomma, è stata negligente nel controllare aziende che subordinava ai suoi bisogni e poi non risulta aver rimosso i dipendenti che oggi sono indagati: ora un amministratore giudiziario dovrà assicurarsi, tutelando in primo luogo Uber, che non ci siano altri casi di caporalato tra le altre società che lavorano per il colosso di San Francisco”.

Uber Eats si difende con un comunicato.

«Uber Eats ha messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali: condanniamo ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia».

 

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