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La deriva greca del calcio italiano: si sta battendo per essere sempre meno influente

Ha affrontato il coronavirus battendosi affinché tutto tornasse come prima. Anche la lite con Sky non sembra lungimirante, si basa su una sopravvalutazione di sé

La deriva greca del calcio italiano: si sta battendo per essere sempre meno influente
Lazio's Italian forward Ciro Immobile (R) fights for the ball with Juventus' Brazilian defender Danilo during the Italian Serie A football match SS Lazio vs Juventus FC. (Hermann)

“Direzione Pasok”. Questa espressione la sentii usare ai tempi della grande crisi greca a proposito del Pd, purtroppo non ricordo più da chi. La cosa che vale la pena ricordare ora, però, è che non si trattava di un complimento. I socialisti greci erano presi a paradigma (non ce ne vogliano i compagni) di partito riformista che, in nome della responsabilità di governo, si trasforma in piattaforma di potere: una grigia nomenclatura, né più né meno. Se i democratici italiani abbiano effettivamente seguito il percorso, non è tema di questa riflessione.

L’espressione torna in mente a proposito della Serie A perché viene da dire che corre in “direzione Souper Ligka Ellada”. Non suona altrettanto bene, ma rende l’idea. Nelle lunghe settimane, anzi nei lunghi mesi, della pandemia praticamente ogni comparto della società italiana si è chiesto: come cambieremo? Come faremo, diversamente e meglio, nel mondo piegato da Covid, quello che facevamo prima? Tutti tranne il calcio, che è rimasto tenacemente in posizioni difensive. Non si è mai messo in discussione. Ha solo aspettato di poter ricominciare da dove ha lasciato.

Ora che la ripresa delle attività si avvicina, però, viene da chiedersi quale sia la vision. Di più: se ci sia un’idea di lungo termine. L’impressione, a leggere le cronache, è che l’unica urgenza sia incassare la tranche finale dei pagamenti di Sky. Che cosa verrà dopo, boh. Che cosa ne sarà della stagione 20/21, chissà.

Ma lo stesso scontro frontale con Sky non sembra lungimirante. I bilanci del movimento calcistico italiano si basano in larga parte su passaggi di denaro virtuali, cioè sulle plusvalenze: non lo diciamo noi, lo dice il Sole 24 Ore. I soldi veri arrivano in parte dal calciomercato, dal quale nel prossimo futuro non è dato aspettarsi grandi numeri, e in maggiore misura dagli sponsor: TV in testa. Andare alla guerra con l’ex emittente di Murdoch (oggi di Comcast), forse nella speranza di avere le spalle coperte da CVC, ricorda il Napoli di Corbelli che strappa il contratto con Tele+ per darsi alle più munifiche braccia di Stream. Chi ha i capelli bianchi, ricorderà come è finita.

Il Coronavirus ha esasperato le fragilità di sistema. Le ha portate a maturazione molto più velocemente di quanto avrebbe fatto una normale crisi di mercato. Ma le fragilità comunque c’erano. Per questo ora, che andiamo incontro a una stagione recessiva, servono spalle larghe e capacità di rimediare agli errori. È una riflessione letta a proposito di altri comparti economici, ma valida anche per il calcio. Solo che il calcio italiano fa finta che non lo riguardi.

È questa la direzione Pasok: la spinta a ridursi all’influenza del calcio greco. Quello italiano è un movimento che appare sereno all’idea di ridimensionarsi nel giro d’affari complessivo. Che sarà spinto ancora più ai margini delle gerarchie europee. Che si accontenterà di esprimere una o due squadre in grado di dire qualcosa sul piano internazionale. Un movimento, già in declino, che si orienta a incidere meno. Perché l’unico obiettivo, non dichiarato, ma manifesto, è sopravvivere oggi. Il domani è troppo lontano.

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