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A Napoli la gentrification del pubblico da stadio non è possibile

Mettendo anche da parte il comfort del pacchetto stadio, non è piazza per lo stadio d’élite e curve a 70 euro . Appena il prezzo si alza, lo stadio si svuota

A Napoli la gentrification del pubblico da stadio non è possibile
foto Hermann / Kontrolab

Arrivati a questo punto è bene che il Napoli si chiarisca le idee sul San Paolo che vuole. Non quello che ha in mente, lo stadio virtuale o il futuribile impianto privato da 20, 30 o 40mila posti che prima o poi un’amministrazione conciliante gli permetterà di costruire. Che San Paolo vuole ora, oggi, qui e adesso. E se davvero, a conti fatti, preferisce la gentrification del pubblico. Se l’idea di alzare il prezzo medio degli ingressi gli convenga.

Che Aurelio De Laurentiis e i suoi consiglieri sognino uno stadio sul modello europeo, dove per modello europeo intendiamo uno stadio la cui fruizione è cara, è evidente. È da anni che la dirigenza, in linea con il trend nazionale, insiste sulla questione. Da quasi 10 anni, ormai: era il 2012 quando per la prevendita di Napoli-Chelsea divampò una polemica in tutto e per tutto simile a quella odierna. Ma in tempi recenti abbiamo visto ticketing salati, prezzi a partire dai 40 euro, anche per più comuni partite di Serie A.

Il tema si sovrappone alle tensioni degli ultimi mesi sul regolamento d’uso del San Paolo, quelle da cui è scaturita la protesta Liberi di Tifare, per capirci. Sono faccende diverse, ma collegate. Insieme ci lasciano capire che la dirigenza desidera uno stadio non solo più ordinato, ma più severo e, di conseguenza, più austero.

Ecco, ma alla SSC Napoli conviene davvero questa gentrification? Ci sono due valutazioni che dovrebbe fare, prima. Innanzitutto, la più ovvia: se la merita? O meglio, se la può permettere? Non bastano il prestigio della competizione e dell’avversario per legittimare il prezzo alto. Approfittare del periodico evento di cartello è opportunismo. Prima di alzare la media dei prezzi sarebbe opportuno alzare la media del servizio, e di certo non bastano la sostituzione dei sediolini e dei faretti per considerare la faccenda risolta. All’estero lo stadio è un’esperienza semplice e piacevole. Ci si arriva comodamente, ci si entra agilmente, ci si sta senza patemi. Alcune questioni, come la qualità dei trasporti, non le può risolvere il calcio Napoli. Ma rimane che, affinché una curva valga 70 euro, ci vuole qualcosa di più di un pallone d’oro nella squadra avversaria.

Ma lasciamo perdere la qualità del servizio: non è neanche il tema più importante. I dirigenti del Napoli dovrebbero chiedersi se esiste un pubblico alternativo disposto a spendere tanto per le partite casalinghe. Se si può fare affidamento su di questo per avere un San Paolo stabilmente affollato e incisivo. Perché il termine gentrification intende una sostituzione: togli un tifoso con meno soldi e lo sostituisci con un’alternativa più ricca. A Napoli l’alternativa non si vede.

Vediamo come andrà la prevendita di Napoli – Barcellona. Le premesse sembrano positive, ma è difficile prenderlo per un caso significativo. È vero che nel 2017, con il Real Madrid, ci furono anche più spettatori che la sfida col Chelsea del 2012. Ma gli ottavi di Champions sono un’eccezione: rappresentano un anomalo incentivo al sacrificio economico, mobilitano tifosi che frequentano lo stadio saltuariamente, richiamano anche persone interessate al calcio, ma non al Napoli.

La storia recente, invece, ci racconta che, quando i biglietti sono troppo alti, il pubblico non risponde presente. E che, al contrario, c’è bisogno di prevendite popolari per vedere il San Paolo gremito anche nei momenti di entusiasmo. Per fare qualche esempio, nella primavera 2018, in piena bagarre scudetto, per Napoli-Genoa gli spettatori furono 30mila: eppure le Curve costavano 14 euro e i Distinti 28. Qualche settimana dopo, per il Chievo si registrarono molti più ingressi (oltre 44mila presenti), ma a patto di abbassare a 10 euro il biglietto per la Curva e a 20 quello per i Distinti. E ci stavamo giocando il titolo nazionale.

Dopo anni di abitudine al calcio di altissimo livello, la stessa definizione di grande evento è cambiata. Nel gennaio 2011, ad esempio, i quarti di Coppa Italia contro l’Inter meritavano ancora oltre 40mila spettatori. Un anno dopo la stessa sfida allo stesso turno della medesima competizione non arrivò a 30.000 spettatori. Di mezzo c’era stato la prima, storica partecipazione a un girone Champions. E, a tal proposito, se Napoli Villarreal del 27 settembre 2011 valse a prescindere un pubblico di 46.000 persone, oggi che al massimo torneo europeo siamo abituati, match contro Genk, Benfica e Stella Rossa non rappresentano la stessa emozione.

Non c’è una valutazione di merito. È il contesto. I napoletani tanti soldi per lo stadio non li hanno o non li vogliono spendere. Rispondono numerosi quando la prevendita è popolare e, per di più, quando la Sscn propone prezzi stracciati (e capita spesso) vede confermate le aspettative: lo stadio San Paolo non costa molto. Quindi, è fisiologico lo sbigottimento del pubblico quando, all’improvviso, i prezzi raddoppiano.

Il Napoli si chiarisca le idee, dunque. La gentrification dello stadio è possibile. Se la vuole, ci deve investire e la deve perseguire con convinzione: certe griffe del lusso mica hanno cominciato da un giorno all’altro a vendere scarpe in gomma e tela a 500 euro, si sono costruite l’immagine nel tempo. La dirigenza ricordi, però, che la gentrification comporta delle rinunce e, fin quando l’impianto è il San Paolo, larghi vuoti e frequente freddo. Nella bolgia ci sono molti coni d’ombra, lo sappiamo, ma per quelli vale già il codice penale. Rinunciare alla folla è un’altra storia. A Castel Volturno ci pensino.

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