ilNapolista

È finita la diversità di De Laurentiis. Da oggi è un figlio di Napoli

Passerà alla storia come il presidente che tra Insigne e Ancelotti ha scelto Insigne. Il gioco gli è sfuggito di mano e ha avuto paura

È finita la diversità di De Laurentiis. Da oggi è un figlio di Napoli

È finita la diversità di Aurelio De Laurentiis. Da questa notte può finalmente essere considerato un figlio di Napoli. Uno che ragiona come ragiona Napoli. Ha posto fine alla lunga crisi della squadra con l’esonero di Carlo Ancelotti. Nella sera in cui il Napoli, per la terza volta nella sua storia, ha raggiunto gli ottavi di finale di Champions. Mentre la tanto strombazzata Inter è stata eliminata dal Barcellona baby. De Laurentiis ha preso il progetto Ancelotti e lo ha buttato via. Ha scelto la soluzione più semplice, quella più breve: promessa ai giocatori per le multe e via il tecnico che aveva idee tattiche – e forse non solo quelle – che non piacevano al gruppo, in particolare ad alcuni senatori.

Da stasera c’è una novità. Dobbiamo amaramente constatare che tra i nostalgici del periodo sarrita c’è anche Aurelio De Laurentiis. Che ci ha provato, a modo suo, a cambiare pagina. Poi, come si dice in un gergo che il presidente ben conosce, non gli ha retto la pompa. Ci vuole coraggio. Troppo. È un processo simile alla “Costruzione di un amore” di Fossati. E bisogna saper attraversare il deserto. Non è roba da De Laurentiis, ahinoi. Forse ci eravamo illusi. Forse le persone cambiano. Forse non possiamo comprendere le paure di chi guida un’azienda che probabilmente è cresciuta troppo.

Fatto sta che non possiamo non riflettere sulla considerazione che De Laurentiis passerà alla storia come il presidente che tra Insigne e Ancelotti ha scelto Insigne. Ha provato a tenere vecchio e nuovo. Ha voluto, o ha fatto finta di volere, imboccare una strada nuova senza abbandonare completamente la vecchia. Con De Laurentiis presidente, Arrigo Sacchi sarebbe stato esonerato. Questa è la cruda realtà.

Molto probabilmente a questo punto viene da pensare che il presidente non si sia mai fidato fino in fondo di Carlo Ancelotti. Forse ne ha avuto paura. Il Napoli non si è comportato con Ancelotti come ha fatto l’Inter con Conte. Non ha obbedito alle indicazioni dell’allenatore che peraltro all’Inter ha ripagato i vertici societari attaccando loro spesso e volentieri. De Laurentiis non ha voluto abbandonare il suo certo per l’incerto. Non ha tenuto fede agli impegni di maggio. Ha lasciato appese molte, troppe, situazioni contrattuali. E non ha ceduto chi andava ceduto.

Si fa molta fatica a comprendere la ratio dei comportamenti di De Laurentiis se non si tiene in considerazione la paura. De Laurentiis non è un coraggioso e in questa occasione lo ha dimostrato in maniera fin troppo evidente. Ma è un difetto che non gli si può imputare, come ha spiegato Alessandro Manzoni. Resta un grandissimo presidente, ha portato il Napoli in una dimensione sconosciuta. Purtroppo sconosciuta anche a lui. Ha i suoi limiti ben definiti, come tutti noi del resto. Probabilmente abbiamo preferito proiettare su di lui processi che magari noi stessi non siamo riusciti a compiere.

Resta la grande incognita sui cinquanta giorni che hanno sconvolto il Napoli. Cinquanta giorni che a scorrerli – come un film – hanno avuto De Laurentiis assoluto protagonista. Ha cominciato a picconare la sua creatura e non si è più fermato. Almeno fino all’esonero di Ancelotti. Ha provato sistematicamente a distruggere il giocattolo. Non ci addentriamo in considerazioni dietrologiche. Restano cinquanta giorni strani. In cui De Laurentiis, di solito lucido, non ha mai compiuto una – diciamo una – scelta costruttiva. Ha solo distrutto. Sistematicamente e senza sosta.

E alla fine si è spaventato. Più di tutti. E ha compiuto la scelta che considera la più efficace nel minor tempo possibile. E che nel breve potrebbe anche funzionare. Una scelta tattica. Non strategica. Adesso De Laurentiis una strategia non ce l’ha. Si è aggrappato al gruppo di calciatori cui nonostante tutto è affezionato. E al gruppo che ritiene più influente. Chissà che non abbia sbagliato anche questa valutazione. Si è messo nelle loro mani. Ha ingaggiato – o sta per ingaggiare – un allenatore disposto a giocare come vogliono loro. E qui, sommessamente, da non sarriti chiediamo: ma allora non valeva la pena tenersi l’originale? La speranza è che non commetta lo stesso errore commesso da Ancelotti: l’errore di sopravvalutarli. Come probabilmente abbiamo fatto noi con lui.

ilnapolista © riproduzione riservata