Chi controlla ponti e viadotti? Boh. L’agenzia annunciata da Toninelli, non è mai nata

Il CorSera spiega che l'Ansfisa annunciata dall'ex ministro giace ancora in attesa di un parere del Consiglio di Stato. Non esiste una mappatura dei viadotti a rischio

ponti e viadotti

Chi controlla i ponti e i viadotti della nostra rete autostradale? Se lo chiede Marco Imarisio sul Corriere della Sera.

L’Agenzia annunciata da Toninelli

Avrebbe dovuto farlo l’Ansfisa, Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali. O almeno questo era stato l’annuncio del ministro Toninelli all’indomani della tragedia del Ponte Morandi. Peccato che, però, non sia mai nata.

L’Ansfisa avrebbe dovuto prendere il posto, spiega Imarisio, della

“vecchia e poco utilizzata Direzione generale per la vigilanza sui concessionari, carrozza pubblica di limitate risorse e ancor meno potere, impossibilitata com’era a operare veri controlli sulle 7.317 «opere d’arte», ovvero tutti i ponti, i viadotti e i tunnel che rientrano nelle concessioni dei 19 gestori autostradali in teoria monitorati dall’Anac”.

Avrebbe dovuto segnare il passaggio dalla logica dell’emergenza a quello della prevenzione. Del resto, a stabilire che occorressero ispezioni ministeriali “altamente dettagliate” sulle infrastrutture lo aveva detto una direttiva europea nel lontano 2008.

Il ritardo dell’Italia nel recepire la direttiva europea

L’Italia è andata piano, ha recepito con molta calma, scrive Imarisio,

“dimenticandosi però i regolamenti attuativi e i soldi per gli ispettori”.

Ai genovesi che a distanza di tre mesi dal crollo del viadotto sul Polcevera si erano riuniti per ricordare le 43 vittime, il ministro Toninelli aveva assicurato che sarebbe cambiato tutto, ma al momento

“è cambiato solo il titolare del dicastero”.

L’Ansfisa aspetta ancora il parere del Consiglio di Stato su un regolamento attuativo scritto solo nel luglio, che riguardava l’assunzione o lo spostamento nella nuova struttura di almeno 500 tra ispettori e dirigenti.

Al momento non ha altro che un organigramma in cui compaiono solo i vertici e nulla più.

Non esiste una mappatura dei viadotti a rischio

Di fatto non esiste, in Italia, una mappatura delle infrastrutture a rischio, autostradali e non. La Procura di Genova, nell’inchiesta post Morandi, ha individuato 28 opere di Autostrada per l’Italia ma per il resto fa ancora fede il rapporto dell’istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr del giugno 2018, precedente al crollo del 14 agosto.

In quel rapporto era scritto che le nostre infrastrutture stradali hanno superato la durata di vita per cui sono state progettate. La maggior parte dei ponti e viadotti italiani, infatti, è stato costruito tra il 1955 e il 1980.

Il Cnr, incrociando l’età dei ponti, gli interventi straordinari effettuati e gli allarmi raccolti dai gestori, ne identifica 20 che creano qualche preoccupazione. Ce ne sono in Lombardia, Abruzzo, Campania (il viadotto Manna), in Sicilia.

Il caso della Liguria

In Liguria, dove dal 2010 ad oggi ci sono stati 8 alluvioni e negli ultimi cinque anni sono crollate tre strade provinciali, c’è evidentemente un caso “specifico”. Le strade avrebbero bisogno di continui controlli, scrive Imarisio,

“ma si torna alla casella di partenza. I soldi non ci sono. I rivi esondano, la terra si inzuppa, i viadotti cedono. Nel rapporto del Cnr sono citati come «preoccupanti» quattro ponti della A6 Torino-Savona, equamente divisi tra Piemonte e Liguria. Quello crollato ieri non era compreso nell’elenco”.

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