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Due anni di reclusione per Iaquinta; a suo padre 19 per associazione mafiosa

L’ex calciatore di Juventus e Udinese è stato condannato nell’ambito del processo Aemilia, contro la Ndrangheta. La sua reazione: «Una sentenza ridicola».

Due anni di reclusione per Iaquinta; a suo padre 19 per associazione mafiosa

Il processo Aemilia

Due anni di reclusione per Vincenzo Iaquinta. È questa la sentenza di primo grado nell’ultima udienza del processo “Aemilia”, nel Nord Italia contro la Ndrangheta. Per l’ex campione del mondo e calciatore di Udinese e Juventus, l’accusa è di aver ceduto delle postole a suo padre, a cui era stato vietato il possesso di armi da fuoco. Il motivo era da ricercare nelle frequentazioni di Giuseppe Iaquinta, nei suoi rapporti con presunti affiliati alla criminalità organizzata. Le pistole in questione (un revolver Smith&Wesson calibro 357 magnum, e una Kalt-tec 7,65 Browning e a 126 proiettili) erano state regolarmente denunciate da Iaquinta, che però aveva detto di custodirle nella sua casa di Reggiolo.

Il fatto è entrato all’interno del maxi-processo iniziato a gennaio 2015, che ha portato all’arresto di 160 persone in molte regioni d’Italia. Giuseppe Iaquinta è statp condannato a 19 anni per associazione mafiosa. Inizialmente, la richiesta di pena per Iaquinta era di sei anni, però nella sentenza è caduta l’aggravante mafiosa. Secondo quanto riportato dalla Gazzetta dello Sport, il calciatore e suo padre si sarebbero subito opposti verbalmente alla sentenza, gridando «Ridicoli, è una vergogna» durante la lettura del dispositivo. Queste le parole dell’ex calciatore, raccolte sempre dalla rosea: «Il nome ‘ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia nella nostra famiglia. Non è possibile. Mi hanno rovinato la vita sul niente, perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente ma io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso delle mie radici».

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