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Insigne dato in panchina per Spagna-Italia: un’ipotesi che non ha alcun senso

In nome di un atteggiamento tattico anacronistico, che non rispecchia più la Serie A, Ventura depotenzia l’Italia. E non facciamo politica, né i campanilisti.

Insigne dato in panchina per Spagna-Italia: un’ipotesi che non ha alcun senso

Non è campanilismo

Cominciamo a chiarire questo. Il Napolista non ha velleità campaniliste riguardo la nazionale italiana di calcio. Ci spieghiamo meglio: avete letto qualcosa su Jorginho e Montolivo? No, sappiamo che il regista brasiliano e naturalizzato ha caratteristiche che non c’entrano niente col gioco dell’Italia. Non importa che Jorge Luiz Frello sia in una condizione (decisamente) migliore, tantomeno importa che probabilmente stia dimostrando  (da un paio d’anni) di essere molto più forte di Montolivo. Per noi vale la regola del campo, anche se non siamo d’accordo. Fin quando, però, non si entra nel ridicolo. E il ridicolo si chiama Lorenzo Insigne. O meglio: la (probabile) gestione di Insigne da parte della nazionale italiana.

Secondo gli ultimi rumors, contro la Spagna Insigne dovrebbe andare in panchina. Sì, avete letto bene. Il calciatore più forte e più in forma dell’intero movimento italiano potrebbe (anzi, dovrebbe) non giocare la partita più importante dell’anno per scelta tecnica. Come se, in questo momento, il ct brasiliano Tite non schierasse Neymar o come se Sampaoli decidesse di tener fuori Messi o Dybala. Le proporzioni sono diverse, ci siamo, ma oggi Insigne è il top player del calcio italiano. Tra i convocati di Ventura, ma non è certo colpa di Ventura, non c’è un calciatore altrettanto continuo, altrettanto decisivo, altrettanto bravo. C’è Verratti, ok, ma del centrocampista del Psg parleremo dopo, tra poco. Anche lui dovrà piegarsi a esigenze tattiche che non hanno senso.

Il campo

La legge del campo. Abbiamo scritto sopra. Che però finisce quando si entra nel ridicolo, abbiamo scritto anche questo. Perché arriviamo ad utilizzare questi termini così forti? Perché l’Italia di Ventura andrà in Spagna a giocarsi la qualificazione con un atteggiamento tattico che non rispecchia il nostro campionato. Che non rispecchia l’andamento del calcio europeo (Chelsea a parte). Che è anacronistico, anche perché basato sull’utilizzo di: un portiere 39enne, un difensore di centrodestra 36enne, un altro 30enne e un altro ancora 33enne.

Buffon-Barzagli-Bonucci-Chiellini, ma non è quello il punto. Il punto è che si tratta di un blocco che non gioca più insieme. E che è stato rigettato da una squadra di club, ma anche dall’intera Serie A. Oggi, nel nostro campionato, c’è un giubileo di tecnici dal calcio proattivo, o comunque di grande intensità. Non si tratta neanche solo di difesa a tre, il modulo è un dettaglio (Guardiola, con il City, attua una difesa a tre); si tratta di atteggiamento, di retaggio culturale, di scelte che depotenziano la squadra.

Lorenzo e gli altri

E torniamo a Insigne, e a Verratti. Con questa scelta, quella di mantenere tre centrali difensivi che giocano secondo una linea piatta, l’Italia sarebbe costretta a schierare due esterni a tutto campo (Conti e l’adattato Darmian), tre centrocampisti centrali e due attaccanti veri. Belotti e Immobile, e fin qui ci siamo pure. Ma i tre centrocampisti sarebbero De Rossi, Montolivo e Verratti. Quest’ultimo con compiti di trequartista. Quando nel Psg il suo ruolo è quello dell’interno. Quando nel Napoli, nella Juventus, nell’Inter, nella Roma, nel Milan, il suo ruolo sarebbe quello dell’interno.

Va da sé che, con queste scelte tattiche, Insigne resterebbe fuori. Ma non parliamo di lui, che fa rumore “solo” perché è il miglior calciatore italiano del momento. Insieme a Lorenzo, restano in panchina calciatori come Bernardeschi, Candreva, El Shaarawy, Pellegrini. Più un difensore come Rugani, titolare scelto della Juventus.

Non c’è alcun senso in questa serie di scelte. Non c’è un progetto a lungo termine – perché la difesa tocca i 32 anni di media -, non c’è un reale vantaggio tattico se non quello di aumentare la densità a centrocampo. Proprio nel punto in cui gli spagnoli sono più forti, direbbe qualcuno. Ma qualcun altro, tipo noi, risponderebbe: e se invece di giocare a contrastarli valutassimo l’idea di provare noi a sfruttare il loro punto debole? Magari la difesa, magari con Insigne. Ma non vogliamo ripetere la parola Insigne. Diciamo anche con Bernardeschi.

Non è politica

Questo per “dimostrare”, a noi stessi prima e a voi, che non stiamo facendo dietrologia politica. De Rossi-Roma, Montolivo-Milan, Bbc-Juventus e Milan. No, non c’è un complotto del palazzo contro il Napoli (che poi se i giocatori del Napoli non giocano è meglio per il Napoli). C’è un problema di cultura calcistica, di riconoscenza cieca e immotivata verso una generazione immarcescibile, che non ci permette di andare oltre. Di pescare in un gruppo fortissimo di giovani, che Insigne è anche già avanti con gli anni. Bernardeschi, di nuovo; e poi Berardi, Chiesa, Bonaventura e Florenzi (oggi infortunati).

Tutti questi calciatori, a turno, hanno dovuto e devono fare i conti con scelte che non cambiano. Che sono difensive, rispettano una tradizione italiana che nel frattempo si è estinta, bruciata dai tecnici dello stesso campionato italiano. Ognuno a modo suo: Allegri, Spalletti, Montella, Sarri, Di Francesco. Le cinque big giocano un calcio che prova ad essere offensivo, propositivo, moderno. L’Italia no. L’Italia tiene fuori Insigne, il suo miglior giocatore del momento, per far spazio a un difensore in più. E trasforma Verratti, probabilmente il suo miglior giocatore in assoluto, in trequartista. Per proteggere il centrocampo. È la castrazione di quello che siamo in memoria di quello che siamo stati. E che cerchiamo pedissequamente di essere, secondo una narrativa che non ci vede vincenti né belli da undici anni – a livello di nazionali.

Solo a Euro 2012 c’è stata una timida ripresa. Si giocava con due terzini veri, con i migliori giocatori d’attacco schierati titolari, erano Balotelli e Cassano. Scelte logiche, anche perché Bonucci andava per i 25 e Chiellini per i 28. Erano il futuro. Sono ancora il presente, anche se in realtà sono il passato.

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