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Lo scouting report del Napolista sui Mondiali Under 20

Pagellone e nomi dei talenti riferiti alla kermesse iridata, vinta dall’Inghilterra in finale sul Venezuela. Italia terza dopo la finalina con l’Uruguay.

Lo scouting report del Napolista sui Mondiali Under 20

Ad un mese dalla finalissima di Suwon, il Napolista ha rivisto per i suoi lettori la ventunesima edizione della FIFA U-20 World Cup, alla ricerca dei migliori talenti emersi nelle cinquantadue partite disputate. I Mondiali Under 20 sono un evento da consegnare ai posteri per i colori azzurri, mai spintisi oltre le colonne d’Ercole dei quarti di finale in quarant’anni di esistenza del torneo.

1° INGHILTERRA

Bilancio: 6 vittorie – 1 pareggio – 0 sconfitte

Gol fatti: 12 / Gol subiti: 3

Voto: 8

Un’estate da ricordare per la scuola calcistica albionica: dopo aver sfiorato l’alloro continentale con l’Under 17 ed iscritto per la seconda stagione consecutiva il proprio nome nell’albo d’oro del Festival International Espoirs de Toulon alle spese della Costa d’Avorio, i Three Lions hanno imposto il proprio strapotere fisico anche nella metà meridionale della penisola coreana, legittimando lo stato di grazia generale di un vivaio locale pedissequamente ignorato nell’ultima decade dai bulimici general manager stacca-assegni dei top-club autoctoni.

La politica di scarsa perspicacia adottata dal Chelsea (per tacer di Manchester…) valga come testimonianza inoppugnabile: in quella pletora di giocatori di proprietà dispersi in dieci differenti Paesi del globo, sedotti dalla fatua pretesa di ritagliarsi una chance effettiva allo Stamford Bridge ed a cui accennavamo nell’articolo relativo agli emergenti in Eredivisie, c’era anche l’MVP Dominic Solanke, reduce da un infruttuoso biennio sprecato tra il parcheggio al Vitesse, gli ipocriti attestati di stima recitati da José Mourinho a favore di telecamera ed il campionato riserve, per un trattamento ai margini che l’ha infine convinto ad accettare la corte del Liverpool una volta scaduto il contratto con i Blues.

I gol di Solanke ai Mondiali Under 20

Il suo illuminato galleggiamento tra la trequarti e l’area di rigore a seconda delle esigenze ha costituito un rebus insolvibile per gli avversari (citofonare Rolando Mandragora…), conferendo una dimensione tecnica meglio cesellata alle sgroppate dei Toffees Ademola Lookman (talvolta fumoso, ma fondamentale per piegare la tempra della Costa Rica agli ottavi),

Dominic Calvert-Lewin e Kieran Dowell (razionale nel tocco, seppur meno esplosivo in allungo). Nel 4-2-3-1 d’ordinanza impiegato da Paul Simpson, tra gli orrori del deprecabile stopper (?) Fikayo Tomori (da tramandare ai posteri l’autogol da cinquanta metri elargito alla Guinea nel Girone A) ed i tentennamenti in presa del “FIFA Golden Glove” Freddie Woodman (Newcastle), sono piaciuti per maturità e compostezza in ambo le fasi il right back Jonjoe Kenny (sacrosanto ‘Youth Player of the Season’, riconosciutogli per aver trascinato da stantuffo infaticabile sul corridoio destro l’Everton di David Unsworth all’inedito trionfo in Premier League 2) ed il disciplinato Lewis Cook (1997, Bournemouth), cardine senza fronzoli del settore nevralgico che non disdegna di cimentarsi nei filtranti in verticale.

2° VENEZUELA

Bilancio: 5 vittorie – 1 pareggio – 1 sconfitta

Gol fatti: 14 / Gol subiti: 3

Voto: 8

Autentica rivelazione della rassegna, la Vinotinto di Rafael Dudamel si è arrampicata d’imperio sino alle soglie di un miracolo sportivo irripetibile, sfumato sulla mano di richiamo dell’inglese Woodman, lesto nel neutralizzare il fiacco tentativo dal dischetto di Adalberto Peñaranda (croce e delizia dei Los Llaneros, intermittente nelle giornate di luna storta quasi quanto il piccoletto Yeferson Soteldo) per riacciuffare il pareggio ad un quarto d’ora dal triplice fischio dell’arbitro Kuipers (0-1 il beffardo verdetto).

Una cavalcata epica per gli appassionati e chiassosi tifosi al seguito, appagati dalla fase offensiva più redditizia in assoluto tra le contender: 9,03 occasioni create in media per ogni singolo match, grazie ad una cooperativa del gol (quattordici graffi firmati in calce da nove marcatori diversi) ordita per supplire alla lacunosa dimestichezza di Ronaldo Peña (Las Palmas), ponta de lança più votata alla battaglia sulle spizzate.

Per quanto concerne il controllo delle operazioni, solamente il Giappone nell’ottavo di Daejeon è sembrato preponderare nel comando della manovra (sudato 1-0 nei supplementari), delegato in transizione all’imprevedibilità del brevilineo Ronaldo Lucena (specialista su palla inattiva, innanzitutto dalla bandierina) e sull’ampiezza allo smaliziato interdittore Yangel Herrera, FIFA Bronze Ball il cui cartellino appartiene al Manchester City.

Il suo statico ma opportuno frapporsi sulle linee di passaggio ha cementato la tenuta del duo formato dai beque central Williams Velásquez e Nahuel Ferraresi, tranquillizzato inoltre dai riflessi felini di Wuilker Fariñez (1998, Caracas FC, taglia ridotta ma colpo d’occhio e personalità da vendere). Ben congegnati anche gli interscambi sul binario destro tra il pendolino Ronald Hernández (1997, Zamora) ed il possente Sergio Córdova (188×80), una sorta di punta defilata per valorizzare i mismatch atletici destinata all’Augsburg.

3° ITALIA [eliminata in semifinale]

Bilancio: 3 vittorie – 2 pareggi – 2 sconfitte

Gol fatti: 10 / Gol subiti: 9

Voto: 7

La vendetta sulla Francia (2-1) a cancellare con undici mesi di ritardo l’umiliante lezione continentale rimediata alla Rhein-Neckar-Arena, l’impresa in inferiorità numerica nei centoventi minuti al cardiopalma vissuti sul ciglio del precipizio contro l’esuberanza dello Zambia (3-2 dts), la stoica blindatura della porta inviolata nella finalina per il bronzo con l’Uruguay per poi permettere al milanista Alessandro Plizzari (tutto sommato positivo Andrea Zaccagno nelle sei sfide precedenti.

C’è bisogno di correggere la predisposizione delle mani sull’approccio al pallone per imparare a bloccarlo, ma non era agevole psicologicamente indossare quei guanti appartenuti ad Alex Meret) di ipnotizzare i mancini Rodrigo Amaral e Juan Boselli nella serie di rigori, il premio di capocannoniere assegnato all’esterno Riccardo Orsolini, una sentenza nel materializzarsi con gli inserimenti ciechi sul secondo palo per insaccare i traversoni da sinistra di Giuseppe Pezzella (molte ombre e flebili luci per lui: letture preventive, queste sconosciute…) o del compagno all’Ascoli Andrea Favilli, centroboa altruista e mai domo sulle situazioni sporche; malgrado le promesse dal bagaglio tecnico più ricco abitino altrove, il sesto tuffo degli Azzurrini nel periglioso oceano iridato è stato costellato da guizzi persino inimmaginabili al momento del raduno capitolino.

Vincolato dall’infortunio occorso alla mezzala Nicolò Barella, l’unico elemento di classe tra i centrocampisti al pari di Mattia Vitale, Alberigo Evani ha ripudiato il 4-3-3 per rifugiarsi nel cauto e consolidato 4-4-2, dogma federale di retaggio sacchiano purtroppo impotente nei raddoppi laterali per contrastare le acuminate frecce dell’Inghilterra in semifinale (1-3): la freschezza del subentrante Sheyi Ojo ha esposto alla berlina il fiato corto di Federico Dimarco, un fattore risolutivo sui piazzati ma insufficiente in chiusura e sovente in apnea nel passo.

4° URUGUAY [eliminata in semifinale]

Bilancio: 3 vittorie – 4 pareggi – 0 sconfitte

Gol fatti: 7 / Gol subiti: 3

Voto: 7-

Chi fosse alla ricerca di uno spettacolo esteticamente appagante farebbe bene a rivolgere altrove la propria attenzione, ma sul mero piano della resa pratica Fabián Coito è ormai una garanzia per il fútbol celeste. Ripercorrendo la sua decennale trafila da entrenador de equipos juveniles, dipanatasi gradualmente dall’Under 15 sino alla selezione che sbaragliò la concorrenza ai Giochi Panamericani di Toronto 2015, negli undici tornei disputati dalle varie versioni dell’Uruguay in tale arco temporale soltanto una volta l’ex arcigno difensore del Wanderers ha fallito l’accesso tra le prime quattro classificate arrestando la propria marcia negli ottavi di finale, con circoletti rossi in curriculum quali un titolo di vice-campione del mondo Sub 17 (México 2011) ed il Sudamericano Sub 20 dello scorso febbraio, che mancava in bacheca dal 1981.

L’accortezza tattica ossessiva ha però castrato lo spirito costruttivo delle pedine più virtuose in rosa: tra l’attesissimo conductor de juego Rodrigo Bentancur (1997, Boca Juniors, troppe pause mentali e misteriose sparizioni tra le pieghe della gara), il pivote Federico Valverde (1998, Real Madrid, in lampante difficoltà nel condurre la sfera ove pressato) e l’ondivago segundo delantero Nicolás Schiappacasse (1999, Atlético Madrid, paradossalmente più pericoloso da lontano che negli ultimi metri; a tratti sconcertante con le sue goffe movenze da ariete scoordinato il tanto strombazzato coetaneo Joaquín Ardaiz).

Fatta la tara di una lentezza nei recuperi su spazi più larghi ha riscosso consensi lusinghieri lo zagueiro Santiago Bueno, cresciuto nel Peñarol  e tesserato dal Barcellona in inverno, così come il brio del todocampista Nicolás De La Cruz, dinamico volante de enlace scuola-Liverpool Montevideo, il quale a nostro avviso renderebbe al meglio indietreggiando il proprio raggio d’azione sino ad occupare la mattonella di mezzala destra.

5° ZAMBIA [eliminata nei quarti di finale]

Bilancio: 3 vittorie – 0 pareggi – 2 sconfitte

Gol fatti: 12 / Gol subiti: 10

Voto: 6,5

Corse a perdifiato senza apparente logica d’insieme, rimonte impossibili dipanatesi in pochi giri di lancette, un folle viaggio privo di mezze misure o calcoli conservativi per proteggere il risultato: il ritorno del Junior Chipolopolo sulle assi di questo prestigioso palcoscenico non è affatto passato inosservato.

Esplicativa in quest’ottica la media complessiva per match di 4,4 reti tra realizzate e subite, con la tangibile sensazione che i campioni d’Africa mordessero il freno durante le fasi iniziali salvo poi sbizzarrirsi nella ripresa, quando alfine Beston Chambeshi si persuadeva a sciogliere le briglie dalla panchina per avanzare gradualmente il baricentro, usufruendo della potenza aerobica di Enock Mwepu, box to box accordatosi in queste ore con gli austriaci del Liefering.

Zambia-Italia

L’irreperibilità di un ragionatore a centrocampo, del resto, non forniva alternative ai rinvii dalle retrovie di Solomon Sakala o del portiere Mangani Banda per innescare gli esterni alti Edward Chilufya e l’immarcabile Fashion Sakala, sul quale fingiamo di ignorare i sospetti circa la veridicità della data di nascita dichiarata (1997): avvalendosi di un altro passo rispetto a chiunque lo fronteggiasse sulla sinistra, ha semplicemente fatto il bello e il cattivo tempo a proprio piacimento in tutti gli impegni sostenuti, ripescando dal cilindro quel debordante impatto individuale che entro i confini continentali gli era valso un ingaggio in Russia (Spartak Mosca). Buoni segnali sono giunti da Patson Daka, versatile attaccante balzato con merito agli onori della cronaca la scorsa primavera regalando la UEFA Youth League al Salisburgo.

6° STATI UNITI [eliminata nei quarti di finale]

Bilancio: 2 vittorie – 2 pareggi – 1 sconfitta

Gol fatti: 12 / Gol subiti: 6

Voto: 6+

Prosegue la maledizione degli extra-time a corollario dei quarti di finale per Team USA: prescindendo dall’exploit datato 1989, con lo storico piazzamento alle soglie del podio conseguito in terra araba, e dal netto 0-3 con cui il Brasile spazzò via i ragazzi di Bobby Howe ad Australia 1993, per la quarta volta dal 2003 ad oggi i sogni di gloria americani s’infrangono sullo stesso identico punto del cammino, a seguito di un pareggio nei tempi regolamentari.

Dopo Argentina, Austria e Serbia, ad iscrivere il proprio nome nella lista dei carnefici stavolta è stato il Venezuela, impietoso nello stuzzicare i nervi scoperti della pattuglia di Tab Ramos, ovverossia l’imperizia in marcatura sui piazzati e soprattutto la mancanza di degni scudieri a tergo del right winger Brooks Lennon.

Avvisaglie sui correttivi da apportare in quella porzione di terreno erano già pervenute analizzando le tragicomiche amnesie di Aaron Herrera e dell’impresentabile Tommy Redding innanzi all’Ecuador (3-3: dietro la lavagna anche il goalkeeper figlio d’arte Jonathan Klinsmann), ma certo non è servito granché allargare impropriamente il centrale Justen Glad. Al contrario dei colleghi di reparto, lo sweeper Erik Palmer-Brown (1997, Sporting Kansas City) ha lasciato presagire margini interessanti a guisa della creativa mezzala Luca de la Torre (1998, Fulham), le cui intuizioni hanno galvanizzato il fulvo-crinito striker Joshua Sargent (2000, St. Louis SGM), stilisticamente emendabile ma molto efficace nelle rotazioni sul piede perno (per maggiori informazioni a riguardo basterebbe interpellare il senegalese Jean Ndecky).

7° PORTOGALLO [eliminata nei quarti di finale]

Bilancio: 2 vittorie – 2 pareggi – 1 sconfitta

Gol fatti: 9 / Gol subiti: 7

Voto: 6

Non è bastata quella che era probabilmente la miglior coppia di terzini dell’intera kermesse (Diogo Dalot del Porto ed il benfiquista Yuri Ribeiro, in procinto di disputare la stagione prossima ventura in prestito al Rio Ave), a maggior ragione quando l’atavica penuria di bomber puntuali all’appuntamento con il bersaglio grosso continua a pesare come un macigno in pressoché l’intera gamma delle selezioni giovanili lusitane.

L’agile José Gomes (originario della Guinea Bissau) non si è dimostrato all’altezza della prematura investitura conferitagli dal coraggioso Emilio Peixe, baldanzoso nello schierare ben cinque undicesimi nati nel 1999 all’esordio con lo Zambia (1-2), prima di rivedere i propri piani in corso d’opera riadattando da centrattacco la ponta direita Xande Silva (essenziale l’iniezione di adrenalina generata dal suo ingresso nelle drammatiche battute finali con l’Iran) e bocciando il ruvido frangiflutti angolano Florentino Luis.

Sia lui che il più “esperto” Pêpê hanno balbettato parecchio nella casella di vertice basso al centro del rettangolo verde, snaturando le prerogative di manovra palla a terra tipiche della Seleção das Quinas, senz’altro più nelle corde del fantasioso segundo-volante Xadas (1997, Braga), salito in cattedra nell’ottavo contro la Corea del Sud (3-1 e doppietta d’autore), e di Diogo Gonçalves, moderna ala sinistra la cui prerogativa di espletare le sue funzioni “a piede invertito” ha messo in imbarazzo i dirimpettai di turno (da applausi a scena aperta le morbide parabole a girare sul palo lontano con cui ha infilzato gli asiatici e l’Uruguay).

8° MESSICO [eliminata nei quarti di finale]

Bilancio: 2 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 4 / Gol subiti: 4

Voto: 6

Lo scolastico 4-4-2 approntato da Marco Antonio Ruiz covava in prima istanza l’intenzione di garantire una gestione cadenzata ed indirizzata all’attendismo, stimolando al contempo la creazione di doppie catene laterali capaci di ribaltare repentinamente spartito e partitura ritmica soft mediante le sovrapposizioni.

Nella fattispecie, i meccanismi sono apparsi più oliati sulla corsia destra, laddove Diego Cortés (1998, Chivas) si è speso senza soluzione di continuità per affiancare Uriel Antuna nella ricerca della linea di fondo da cui indovinare il cross giusto per il generoso ma poco freddo centroatacante Ronaldo Cisneros (maluccio anche il mobile puñal Eduardo Aguirre), mentre all’extremo Kevin Magaña spettava l’incombenza di creare la superiorità numerica partendo in slalom solitario da sinistra per poi convergere verso il centro, oltre che pennellare insidiosi corner corti.

Diego Cortes

La bacchetta da direttore d’orchestra è stata consegnata alle sapienti nocche del lineare e geometrico centrojás Alan Cervantes (1998, Club León), non di rado abbassato per sperimentare una cangiante retroguardia a tre in piena applicazione della salida lavolpiana e stimolare la propulsione sulle fasce tramite calibrati lanci, dividendosi il primo possesso d’uscita con il solido tutore Edson Álvarez, El Machín de Tlalnepantla addestratosi al professionismo tra le fila del Club América.

 9° FRANCIA [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 3 vittorie – 0 pareggi – 1 sconfitta

Gol fatti: 10 / Gol subiti: 2

Voto: 5

Col senno di poi sarebbe facile asserire quanto l’urna benevola abbia rappresentato un boomerang; atterrata a Cheonan sulla scorta delle scintillanti esibizioni fornite agli Europei, vinti a mani basse con il tocco da maestri di un 4-0 inflitto all’Italia nella finalissima di Sinsheim, la selezione transalpina era unanimemente considerata dagli addetti ai lavori una delle candidate più autorevoli al trono nonostante la scontata assenza di Kylian Mbappé.

Eppure, dopo aver gigioneggiato agilmente nell’indiscutibile pochezza del Girone E (le pratiche Honduras, Vietnam e Nuova Zelanda sbrigate con un eloquente 9-0 di aggregate), le presuntuose ambizioni dei Bleuets di Ludovic Batelli si sono sciolte al sole della concretezza azzurra, letale nell’abusare dei disequilibri di un 4-1-4-1 dove il macchinoso Lucas Tousart non è riuscito a vegliare adeguatamente su una ligne de défense ingenua nei temporeggiamenti (un pelino meglio Jérôme Onguéné dello Stoccarda rispetto al grezzo colosso Issa Diop, ambitissimo prodotto del centre de formation di Tolosa) e sulle scalate a palla scoperta.

Ad ogni modo, sfrondandone i tocchetti sterili ed i leziosi virtuosismi scenografici, questa generazione potrà comunque offrire una stimolante fioritura in prospettiva: gli eleganti Amine Harit e Ludovic Blas posseggono colpi di categoria superiore, l’atletismo di Denis Will Poha e della sregolata ailier Allan Saint-Maximin sono fiches spendibili in partite frenate dalla guardinga circospezione delle rivali, mentre al netto della spocchia Jean-Kévin Augustin (1997, PSG) con la sua rapidità d’esecuzione al tiro e gli attacchi alla profondità si è segnalato come la punta dal miglior potenziale dell’intera manifestazione. Gli osservatori di Lipsia e Borussia Dortmund si sono già affacciati alla finestra per blandirlo…

10° COREA DEL SUD [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 2 vittorie – 0 pareggi – 2 sconfitte

Gol fatti: 6 / Gol subiti: 5

Voto: 5,5

Il gravame delle (esagerate) aspettative nutrite dai media locali nei suoi confronti ha in parte schiacciato le gambette mulinanti di Lee Seung-Woo, fantomatico “nuovo Messi” (?) scovato nell’Incheon United ed il cui trasferimento è costato un contenzioso giuridico al Barcellona. Partito in quarta con le peculiari serpentine che hanno evidenziato tutti i limiti di Guinea (3-0) ed Argentina nell’inibirlo in campo aperto, è sembrato cozzare contro un muro non appena si è imbattuto in contendenti diretti che gli impedissero di accelerare in progressione, soprattutto l’inglese Jonjoe Kenny con la sua avvedutezza nell’accorciare le distanze per mortificarne i prediletti decentramenti a sinistra.

Tali sofferenze sono state emblematiche nella parabola discendente dei Taegeuk Warriors di Shin Tae-Yong: è bastato infatti che le scorte di benzina in serbatoio si esaurissero a poco a poco nel prosieguo del tragitto per sottolineare le défaillance sistemiche di un assetto complessivamente modesto, basato in primis sulla resistenza di fondo nel sostenere ritmi forsennati sull’aggressione degli spazi, fatti salvi i ricami un po’ complessi dell’interno di centrocampo Lim Min-Hyeok (1997, FC Seoul) e taluni sprazzi dell’eclettico Lee Sang-Heon (1998, Ulsan Hyundai).

Non male anche l’altro “catalano” Paik Seung-Ho, il quale condannando anzitempo i succitati sudamericani (2-1) si è tolto lo sfizio di rispondere ironicamente ad un certo Diego Maradona, reo di aver deriso i coreani in sede di sorteggio.

11° SENEGAL [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 2 / Gol subiti: 2

Voto: 6-

La fortunosa semifinale raggiunta ventiquattro mesi fa in Nuova Zelanda era oggettivamente fuori dalla portata di questa nuova covata dei Young Lions of Teranga, ciononostante Joseph Koto poteva vantare plausibili argomenti per dichiararsi molto ottimista alla vigilia, incoraggiato dai trionfi riscossi nell’UEMOA 2016 e soprattutto nel Tournoi international de Doha disputato lo scorso settembre, con il roboante 4-1 sull’Uruguay in finale.

Purtroppo il pragmatismo messicano ha costituito un’asticella troppo alta da scavalcare (0-1), ma val la pena ritornare a Dakar conservando nella memoria il flashback dell’azione grazie a cui si è sbloccato il punteggio con l’Arabia Saudita (2-0): imbeccata di prima intenzione del gigantesco Ousseynou Cavin Diagne (filiforme schermo protettivo dall’andatura dinoccolata ma con irreprensibili doti coordinative che ha stregato El Loco Bielsa, desideroso di ingaggiarlo per la sua esperienza a Lille; due minuti più tardi concretizzerà di giustezza la fuga dalla sinistra dell’esplosivo Krépin Diatta).

Forse il più pronto per contesti probanti al pari dell’irruente stopper “turco” Mamadou Diarra (1997, Boluspor), sponda aerea ad alta quota di Aliou Badji (tronco d’ebano del Djurgårdens dalla granitica struttura fisica) e stop con il petto immediato di Ibrahima Niane (prenotato dal Metz in Ligue 1) ad eludere in diagonale l’intervento del marcatore, per poi scagliare un sinistro al volo e rimuovere la ragnatela dall’incrocio del primo palo.

Mamadou Diarra

12° COSTA RICA [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 3 / Gol subiti: 4

Voto: 6

La maniacale organizzazione tattica ed il perfezionamento di un 3-5-2 duttile che sin dai tempi di Alexandre Guimarães è divenuto un marchio di fabbrica inconfondibile: sono questi i segreti della carreggiata di crescita esponenziale imboccata dal fútbol tico nell’ultimo quindicennio, rimuovendo dai report la stantia etichetta di ‘Cenerentola’ sin da quando la Sub 20 fallì l’appuntamento con un clamoroso podio iridato solo a causa di una sfortunata sessione di penalty (Egitto 2009).

L’argentino Marcelo Herrera si è mosso nel medesimo solco programmatico, rinsaldando il consueto elastico con la densità della linea a cinque in fase di non possesso su el capitán Luis Hernández (Saprissa), propositivo carrilero di sinistra finito in passato sui taccuini di Manchester United e Sporting Lisbona, ed il caparbio perno Eduardo Juárez, riscoprendo in Adonis Pineda (1997, Alajuelense) un più che dignitoso guardiano dei pali nonostante la stazza ridotta, molto spavaldo sulle uscite basse.

La sterilità offensiva è stata l’unica vera nota dolente della spedizione, e non a caso le uniche realizzazioni sono arrivate esclusivamente su calcio di rigore (peraltro su ribattuta in due casi su tre); tra i conduttori delle transizioni di riconversione Barlon Sequeira e Jonathan Martínez, ha invece rubato l’occhio Randall Leal, poliedrico trequartista sbarcato in quel di Mechelen nel febbraio 2015.

13° GERMANIA [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 6 / Gol subiti: 8

Voto: 4,5

Ci si potrebbe consolare con la definitiva esplosione di Benjamin Henrichs (1997, Bayer Leverkusen), assente giustificato giacché ormai certezza quasi consolidata nello scacchiere di Joachim Löw, ma questa versione della Jugend Mannschaft è apparsa davvero troppo brutta per essere vera, confermando la scialba impressione già maturata durante gli Europei casalinghi, allorquando solo la doppia traversa colta dall’Olanda nella lotteria dagli undici metri permise ai tedeschi di prevalere nello spareggio di Sandhausen.

Schiantato senza appello dal Venezuela (0-2), l’opinabile 3-4-3 allestito da Guido Streichsbier come alternativa in vista della forzata rinuncia al suddetto aussenverteidiger ed all’omologo Jannes Horn (Wolfsburg) ha ulteriormente aggravato la già aleatoria consistenza dell’imbarazzante Frederic Ananou (non che le cose siano migliorate una volta proposto l’altrettanto pachidermico Jordan Torunarigha; preferiamo poi non infierire sul torwart di riserva Svend Brodersen, chiamato a rimpiazzare il claudicante Dominik Reimann…) ed i prevedibili patemi di Phil Neumann (in realtà un fluidificante riciclato), finendo con l’inficiare le sicurezze del discreto Benedikt Gimber (1997, Hoffenheim) ed esporsi malamente all’impeto dello Zambia (3-4). Piuttosto anonimi anche l’atteso Philipp Ochs e l’achter Suat Serdar (1997, Mainz).

14° GIAPPONE [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 4 / Gol subiti: 6

Voto: 6

I solerti talent-scout operanti in Eredivisie non hanno lesinato la proverbiale lungimiranza sui mercati meno battuti del globo, e così al termine della rassegna iridata è sopraggiunta la notizia dello sbarco al Groningen di Ritsu Doan, ficcante seppur “finta” aletta mancina dotata di un repertorio tecnico tutt’altro che banale. Difficile non lasciarsi ingolosire dai suoi incessanti movimenti a stringere dall’out destro verso il cuore del campo nello spot di mezzala de facto per predisporsi alla ricezione sugli inviti del sodale di club Mizuki Ichimaru (Gamba Osaka) per poi ispirare gli spreconi attaccanti Koki Ogawa e Yuto Iwasaki con tocchi felpati, a meno che non vi fosse da concludere in prima persona le fulminee triangolazioni sbozzate con il precoce Takefusa Kubo (2001, FC Tokyo), furetto imprendibile nelle giornate di vena con trascorsi ne La Masia blaugrana.

Takefusa Kubo

I campioni d’Asia in carica di Atsushi Uchiyama hanno raccolto in maniera inversamente proporzionale alla gradevole mole di gioco sviluppata, scontando oltremodo le precarie condizioni fisiche del metronomo Daisuke Sakai, ed in particolare le titubanze di un pacchetto arretrato in cui Yūta Nakayama (Kashiwa Reysol) è riuscito solo in parte a mascherare le nefandezze dello sventurato Takehiro Tomiyasu, forse tuttora assorto nella catalessi che gli impediva di sincronizzarsi sulla trappola del fuorigioco…

15° ARABIA SAUDITA [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 3 / Gol subiti: 5

Voto: 5,5

La fatale leggerezza commessa da Abdulrahman Al-Dosari, terzino riadattato in mediana da coach Saad Al Shehri per scortare Ali Al-Asmari ed in seconda battuta le proiezioni in avanti di capitan Sami Al-Najei (selezionato dall’olandese Bert van Marwijk con l’obiettivo di ammannire il necessario ricambio generazionale nei Figli del Deserto sull’impervio sentiero che conduce a Russia 2018), ha costretto il direttore di gara zambiano Janny Sikazwe ad assegnare il penalty con cui l’Uruguay si è imposto nella ripresa al Suwon World Cup Stadium (0-1), interrompendo la scalata biancoverde all’élite del calcio giovanile mondiale.

D’altronde, gli esterni arretrati sono risultati il vero tallone d’Achille della compagine araba, laddove il povero Hassan Al-Tambakti si è affannato vanamente ad abbandonare spesso la propria zona centrale di competenza per mitigarne quelle sofferenze già emerse nell’AFC U-19 Championship 2016 in Bahrain (valga a mo’ di esempio la pirotecnica semifinale con l’Iran, terminata 6-5 per il divertimento degli spettatori accorsi ad Isa Town). Promosso allora come oggi il fantasista Ayman Shafiq Al-Khalif (Al-Ahli), intelligente nel defilarsi sulla destra per servire in verticale la punta di raccordo Abdulrahman Al-Yami.

16° NUOVA ZELANDA [eliminata negli ottavi di finale]

Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 3 / Gol subiti: 9

Voto: 5+

Massimo risultato acciuffato con il minimo sforzo: se due anni orsono i Junior All Whites, dopo l’orgoglioso catenaccio atto a mortificare gli assalti ucraini, approfittarono della presenza nel proprio raggruppamento del derelitto Myanmar per assicurarsi una comparsata negli ottavi di finale davanti al proprio pubblico, stavolta all’inglese Darren Bazeley è bastato costruire il determinante successo contro l’Honduras sui lanci lunghi di Moses Dyer e Joe Bell a liberare lo sgraziato striker Myer Bevan (come i colleghi di reparto Lucas Imrie, Noah Billingsley e Connor Probert più utile nell’ingaggiare singolar tenzoni a suon di sportellate con i difensori), affidandosi prevalentemente ad un’attesa bassa degli avversari, in un 5-3-2 corroborato solo dalle ripartenze laterali dei full back Jack-Henry Sinclair e Dane Ingham (classe ’99 del Brisbane Roar, ridicolizzato dal messicano Aquino in nazionale maggiore nella Confederations Cup in corso di svolgimento) a destra e James McGarry sul versante opposto.

L’irrinunciabile prudenza dell’impianto strategico ha ridotto giocoforza il minutaggio riservato a Logan Rogerson e Sarpreet Singh, unici kiwi in grado di dare del tu al pallone insieme all’altro mancino Clayton Lewis (1997), polivalente midfielder dell’Auckland City.

 17° ARGENTINA [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 1 vittoria – 0 pareggi – 2 sconfitte

Gol fatti: 6 / Gol subiti: 5

Voto: 4,5

Il grintoso playmaking di Santiago Colombatto (da applausi la verticalizzazione che ha permesso all’arruffone Marcelo Torres di riaprire illusoriamente la contesa con i padroni di casa), volante scuola-River pescato con saggezza dal Cagliari nell’estate 2015 ed a nostro modesto avviso il miglior centrocampista della fase a gironi, e gli strappi dello scricciolo Tomás Conechny (San Lorenzo), colpevolmente estromesso dall’undici titolare nella gara di apertura con l’Inghilterra (0-3 invero troppo pesante, in rapporto alle prestazioni fornite da entrambe le squadre), in un reparto già debilitato dal veto dell’Independiente sull’eventuale convocazione del classe ’99 Ezequiel Barco, mentre il romanista Ezequiel Ponce ed il focoso Lautaro Martínez si sono dimostrati troppo avvezzi al gioco spalle alla porta per impensierire i marcatori diretti.

Foyth

C’è davvero poco altro da salvare nell’Albiceleste di Claudio Úbeda, impotente nel coinvolgere l’atipico enganche Exequiel Palacios o nel tamponare la vistosa falla sulla banda destra tra le pessime diagonali degli adattati Gonzalo Montiel e Matías Zaracho (stendiamo un velo pietoso sull’inaffidabile arquero Franco Petroli), che hanno pregiudicato le performance dell’intrigante escoba Juan Marcos Foyth (1998, Estudiantes), vieppiù alla luce del deludente contributo assicurato dal tignoso equilibratore Santiago Ascacíbar (Estudiantes), mastino corteggiato con insistenza dall’Atlético Madrid. Se è vero che tre indizi fanno una prova (mancata qualificazione a Turchia 2013 ed un trittico di incresciose esibizioni in terra neozelandese due anni più tardi), l’ennesima spedizione fallimentare rappresenta la cartina di tornasole ideale per un movimento giovanile nazionale un tempo fiore all’occhiello ed oggi in evidente crisi.

 18° IRAN [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 1 vittoria – 0 pareggi – 2 sconfitte

Gol fatti: 4 / Gol subiti: 6

Voto: 5,5

Uno degli sporadici casi in cui il famigerato VAR ha assunto con efficacia la sua funzione è costato l’accesso agli ottavi di finale del Team Melli Javanan; a metà ripresa dell’ultima decisiva sfida con il Portogallo, infatti, l’arbitro ecuadoregno Roddy Zambrano aveva erroneamente sanzionato l’opposizione di Jorge Fernandes al tiro di capitan Omid Noorafkan (Esteghlal, organizzatore nel settore nevralgico del campo con un sinistro secco e preciso) comminando un rigore inventato, prima che gli assistenti in sala video gli facessero notare quanto il braccio del difendente fosse attaccato al corpo.

Lo sfortunato autogol di Nima Taheri ha poi completato la rimonta lusitana (1-2) all’Incheon Football Stadium, la seconda subita in tre giorni visto che già le incontenibili raffiche nella ripresa dello Zambia (2-4) avevano reso vano il doppio graffio di Reza Shekari (1998), promettente e longilineo trequartista rifinitore opzionato dai russi del Rostov ed arma in più nei semplici schemi d’attacco disegnati da coach Amir Hossein Peiravani, prezioso sia per incunearsi negli spazi dischiusi dai movimenti di Reza Jafari e servire sulla corsa le sovrapposizioni a stringere dell’ala destra Mehdi Mehdikhani (match-winner contro la Costa Rica; troppo timidi sull’altro versante Ali Shojaei e Abolfazl Razzaghpour), sia per anticipare a ridosso del primo palo l’impatto con il pallone sui corner tagliati.

19° HONDURAS [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 1 vittoria – 0 pareggi – 2 sconfitte

Gol fatti: 3 / Gol subiti: 6

Voto: 5

Neppure alla settima recita sul proscenio iridato è arrivato il tanto agognato ingresso nella fase ad eliminazione diretta; la sconfitta al debutto con la Francia (0-3) era francamente preconizzabile, molto meno la débâcle al cospetto dei contropiedisti neozelandesi (1-3) in una partita rovinata dopo neanche cinquanta secondi dal fischio d’inizio, con la sciagurata interpretazione sull’altezza della linea di una retroguardia rimaneggiata dall’assenza del leader Dylan Andrade, e sorpresa alle spalle dai lanci di Joe Bell.

Esiziali inoltre le incertezze nel posizionamento di Javier Delgado, inspiegabilmente sempre troppo lontano dai pali per vellicare l’esecrabile proposito di segnalarsi alla guisa di un improbabile novello Neuer… Inaugurato il percorso con questo gruppo quattro anni orsono con il trionfo al Campeonato Sub-15 de la Concacaf nel suggestivo scenario delle Isole Cayman, ‘El Zarco‘ Carlos Tábora ha ottenuto esigue risposte dal potente Foslyn Grant e dal tanto celebrato Douglas Martínez (New York Red Bulls), vedendosi costretto così ad affidare il peso della fase offensiva quasi esclusivamente alla verve del jolly mancino Darixon Vuelto (Tenerife), ispirato nelle triangolazioni con Jorge Álvarez, interior dalle insospettabili capacità balistiche.

20° ECUADOR [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 0 vittorie – 2 pareggi – 1 sconfitta

Gol fatti: 4 / Gol subiti: 5

Voto: 5

Sulla carta il piano di Javier Rodríguez era piuttosto semplice: tener bloccati e compatti i volantes de salida Juan Nazareno (inaspettatamente preferito a Renny Jaramillo, dopo un’iniziale investitura per il meno posizionale Jhonny Quiñónez) e Jordan Sierra (1997, mediano di lotta e di governo del Delfín SC monitorato con attenzione da Ajax e Manchester City), in modo da scatenare sulle corsie laterali il distintivo tremendismo atletico de La Tri. L

a scoppiettante partenza a razzo ai danni degli Stati Uniti (3-3) aveva illuso i vice-campioni del Sudamerica in carica, bravi a sfruttare la cadena izquierda imbastita dalla locomotiva Pervis Estupiñan e l’atalantino Bryan Cabezas (ubriacante per il malcapitato Tommy Redding con i suoi doppi passi, talvolta invero gratuiti), prima che le fasce si rivelassero un’arma a doppio taglio, giacché sul lato opposto la scarsa vena di Wilter Ayoví ed il successivo forzato adattamento di Joao Rojas e Yeison Guerrero (entrambi maggiormente a proprio agio partendo da sinistra) ha fornito supporto minimo all’impacciato Kevin Minda, responsabile principale del beffardo pareggio strappato dagli Yanks nei minuti di recupero.

L’inserimento in sua vece negli impegni successivi del più laborioso Angelo Preciado ha in parte risolto il problema contingente, ma gli errori di misura dei troppo frenetici delanteros Herlin Lino e Washington Corozo, per tacer del macchinoso Jordy Caicedo, hanno esaltato i riflessi del saudita Amin Al-Bukhari, vanificando il dominio territoriale sugli asiatici e sbarrando di fatto la strada verso gli ottavi.

 21° SUDAFRICA [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 0 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 1 / Gol subiti: 4

Voto: 5+

L’ambizioso progetto azzardato da Thabo Senong per convertire l’Amajita ai principi basilari del possession game ed ovviare ad una stazza fisica media piuttosto ridotta è naufragato alla luce di una retroguardia incapace finanche di posizionarsi correttamente sulle rimesse avversarie (vedasi il gol del raddoppio italiano nello scontro diretto), vieppiù “schermata” in maniera disastrosa dall’ingenuo Wiseman Meyiwa (1999), troppo acerbo per una mansione così delicata.

Il ct sudafricano Thabo Senong

Se si eccettua l’intraprendenza del fluidificante destro Reeve Frosler (Bidvest Wits) e le percussioni dell’interno sinistro Grant Margeman (Ajax Cape Town), i segnali più incoraggianti in ottica futura sono arrivati da una batteria di trequartisti ed esterni offensivi priva del velocista Phakamani Mahlambi ma degnamente rappresentata dalle schegge tascabili Sibongakonke Mbatha, Kobamelo Kodisang e soprattutto Luther Singh, fastidiosa zanzarina già protagonista nella seconda divisione svedese con la casacca neroverde del GAIS e recentemente accasatasi in Portogallo (Braga), laddove militano anche il futuribile centravanti di manovra Liam Jordan (Sporting Lisbona, seppur in prestito) e Thabo Cele, prodotto della KZN Academy fresco di quinquennale con il Benfica, dopo averne conquistato i responsabili-scouting durante il Durban U19 International Football Tournament 2015.

22° VIETNAM [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 0 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 0 / Gol subiti: 6

Voto: 4

Probabilmente non è il caso di rinverdire gli interrogativi tocquevilliani sull’eccesso di estensione delle prerogative democratiche, né tantomeno scomodare le storture oclocratiche di polibiana memoria, eppure minare la credibilità competitiva del torneo riservando ben quattro posti all’Asia, in aggiunta a quello canonico che spettava al Paese organizzatore, e due ad un’Oceania ormai orfana dell’Australia (affiliatasi nel 2006 all’AFC) per scopi non improntati al decoubertinismo (leggasi prebende elettorali), continua a non sembrare la pensata del secolo.

Ci auguriamo vivamente che i vertici della FIFA si siano divertiti ad ammirare le corse a vuoto di Ho Tan Tai, Ha Duc Chinh o Doan Van Hau, i goffi tentativi di finalizzazione ravvicinata abbozzati da Nguyen Hoang Duc e Dinh Thanh Binh o le conclusioni senza senso dalla distanza di Dinh Trong Tran, talmente frustrato dalla sproporzione dei valori in campo da concludere anzitempo la propria avventura con una deplorevole manata al volto del francese Harit. Il 5-4-1 malcelato da 4-2-3-1 di Hoang Anh Tuan aveva l’unica prerogativa di affidarsi al collettivo smussando ogni velleità individualista, opzione ben tradotta dall’esclusione alla vigilia del capitano Nguyen Trong Dai (quantomeno accettabile il mancino del suo sostituto Nguyen Quang Hai), ma si spera che il raccapricciante spettacolo acconciato in combutta con la Nuova Zelanda (0-0) possa suggerire ai dirigenti di cui sopra una doverosa revisione meritocratica del sistema di qualificazione…

 23° GUINEA [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 0 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte

Gol fatti: 1 / Gol subiti: 9

Voto: 5

Trentotto anni dopo la toccata e fuga in Giappone, l’urna non è stata particolarmente benevola per suggellare il ritorno sul proscenio mondiale de Le Syli National; se allora le comiche evoluzioni del pittoresco Byly Loua si rivelarono inadeguate ad arginare le sortite uruguagie e sovietiche, stavolta il crollo è giunto nel momento in cui il carente filtro assicurato da capitan Mohamed Didé Fofana e Oumar Toure (scoordinato virgulto con trascorsi interisti, raccattato nel 2015 dalla Juventus in quel di Santarcangelo) si è sgretolato sotto i colpi dell’Argentina (0-5), macchiando la figura complessivamente dignitosa fatta al cospetto dei padroni di casa (favoriti anche da una fortuita deviazione di Mohamed Aly Camara) e dell’Inghilterra (1-1) nel proibitivo Girone A.

Mandjou Diallo non è riuscito a tramutare in coralità le folate solipsistiche degli anarchici Jules Keita (Bastia) e Daouda Camara ai lati del falso nueve Naby Bangoura (Vizela), né ad inculcare nel computer mentale dei terzini destri Jean Fernandez (Ajaccio) e Salif Sylla l’input di preoccuparsi a tempo perso anche di cosa avvenisse alle proprie spalle, perseguendo inoltre la discutibile strategia di inserire solo a partita in corso Morlaye Sylla, mezzala guastatrice con rivedibile raziocinio negli appoggi in forza all’Arouca.

24° VANUATU [eliminata nella fase a gironi]

Bilancio: 0 vittorie – 0 pareggi – 3 sconfitte

Gol fatti: 4 / Gol subiti: 13

Voto: 5,5

La rotazione tra i portieri (o presunti tali) Daniel Alick (“mattatore” indiscusso nel vernissage con il Messico…), Andreas Duch e Dick Taiwia (il quale comunque si porterà a casa la soddisfazione di aver svigorito dal dischetto il tedesco Suat Serdar), preordinata per sopperire al forfait del titolare Ricky Dick, o le scelleratezze compiute sull’out mancino dagli spaesati Reginold Ravo e Lency Philip, indurrebbero alla caustica censura già operata per archiviare l’apparizione dell’altra esordiente nel lotto delle partecipanti (Vietnam), ma se non altro con la gagliarda seppur incompleta rimonta sulla Germania nel match di commiato (2-3) i Tuskers si sono guadagnati l’onore delle armi, nonché la simpatia del Jeju World Cup Stadium.

Incaricato a fine febbraio da Lambert Maltock in persona di coadiuvare il lavoro dello staff tecnico guidato dalla leggenda locale Etienne Mermer, il montenegrino Dejan Gluscevic ha “rapito” (previo consenso del CT Moise Poida) temporaneamente dalla nazionale maggiore l’elastico defender Jason Thomas, reduce da un periodo di formazione in Cambogia (Phnom Penh Crown), e soprattutto il coetaneo Bong Kalo, brevilineo tuttocampista velenoso sulle situazioni di palla inattiva e bravo a catalizzare da fulcro di riferimento gli scambi in velocità con Ronaldo Wilkins e Godine Tenene, o le imbucate di Claude Aru.

LA TOP 11 DEL NAPOLISTA

(4-3-3): Wuilker Fariñez (1998, Venezuela); Jonjoe Kenny (1997, Inghilterra), Santiago Bueno (1998, Uruguay), Edson Omar Álvarez Velázquez (1997, Messico), Luis José Hernández Paniagua (1998, Costa Rica); Ousseynou Cavin Diagne (1999, Senegal), Ritsu Doan (1998, Giappone), Luca De La Torre (1998, Stati Uniti); Riccardo Orsolini (1997, Italia), Dominic Solanke (1997, Inghilterra), Diogo Gonçalves (1997, Portogallo).

 

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