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In una pizzeria di Montmartre a parlar di pallone tra Trezeguet e Maradona. Poi viene nominato Sivori…

In una pizzeria di Montmartre a parlar di pallone tra Trezeguet e Maradona. Poi viene nominato Sivori…
Omar Sivori esulta durante l'incontro Napoli-Spal, in una immagine del 1965. ANSA/PRIMA PAGINA-CARBONE

Da quando lavoro in pizzeria le partite sono diventate più che un lusso un sogno, qualunque orario è al di là della mia portata, il calcio è diventato per me materia nuova da gestire, come se fosse un libro, sono costretto a ricostruire quanto accaduto da quello che rimane dopo il passaggio della marea, e non è che sia poco, anzi certe volte si supera qualunque limite, si fa il passo più lungo della gamba e ci si ritrova in balia di parole che non lasciano scampo, che ti rapiscono e ti abbandonano nel piacere del vino buono.

D’estate, essendo la pizzeria nei pressi di Montmartre, molti dei clienti sono turisti, altri sono affezionatissimi che rinunciano anche alla vacanza per un trancio di quella alla cipolla rossa; uno di questi è un tizio che entrando guarda verso la cassa e mi saluta urlando:”Ciao Trezeguet!”. Ovvio, vorrei massacrarlo e quando mi trattengo lo faccio pensando che è un cliente e la cosa peggiora perché mi sento un venduto; poi mi calmo, in effetti non sarei in grado di picchiare nessuno e con la mano gli faccio il segno del cucchiaio, disegno una lenta parabola: “Un limoncello alla Totti?”, di solito la cosa finisce con lui che mi lascia una discreta mancia, ma non sorride. Francesi: onore e dignità e vendetta sicura. 

Una sera in cui il caldo era portato dalla pioggia, il mio amico Trezeguet si è presentato con un alleato tedesco, un amico in visita a Parigi, credendo che l’asse franco-tedesco potesse spazzare via il piccolo italiano; ma la pioggia calda è terreno mio, è miscuglio di elementi, senza banalità patriottiche, ma è questione da affidare a un sudaca, alla magia, per saperla gestire bisogna essere scaramantici. Lo vedo entrare ma la calma del mondo si appresta sotto le narici, l’umidità mi rassicura, o forse erano i forni a duecento gradi che mi stupidivano, fatto sta che dentro di me sentivo che la mancia sarebbe stata più grossa quella sera. Trezeguet si avvicina: “Stasera faccio assaggiare la tua pizza al mio amico di Berlino “ un giovanottone col codino, biondo, sorridente e che, come la maggior parte dei tedeschi, parla un buon francese e un buon italiano: “Lui mi dice che tu viene da Napoli, bella squadra, no?”, la serata promette bene. Ma la pioggia calda porterà un alleato anche a me.

La porta della pizzeria si apre, scorgo il viso del destino che quella sera ha deciso: sarò io a vincere.

Da una settimana un vecchio toro, dalla faccia cotta dal sole, capelli nerissimi e pochissimi, con il naso e lo sguardo che mi ricordano mio zio Eduardo, va in giro per Parigi con il figlio quasi trentenne; l’ultima sera passa per mangiare pizza e salutarmi, vuole lasciarmi un ricordo. 

La prima volta che il sudaca entrò, ci mettemmo pochissimo a capire da dove veniva: Argentina. Lui e suo figlio facevano più baccano di una locomotiva. C’era una cosa che non capivo, però: quando entrava io gli urlavo: “Forza Diego!” e lui mi sorrideva e lasciava stare; alla terza gli ho chiesto il motivo di questa freddezza stonata col suo carattere e con la sua nazionalità e mentre facevo questa domanda, ho finalmente notato la maglia del figlio, maglia che ha indossato per una settimana: River Plate. “Diego è più famoso del Che, io lo amo, ma…noi detestiamo il Boca. Maradona è l’Argentina, ma…noi viviamo per il futbol”. Capisco.

Il vecchio toro mi ha preso in simpatia e quella sera è parte delle gocce sonnolenti che scendono dal cielo: quando entra non dice nulla, avvicina la mano alla fronte e fa una sorta di saluto militare, solo che il pugno è chiuso: la mano de dios. 

Guardo il nord, guardo i Franco-Alemanni: stasera siete miei.

Ci fosse stato un inglese avrei chiuso il locale: uagliù, a chi resta in piedi.

Da buon Napoletano, ho un profondo rispetto per il lavoro: mi siedo con loro. Loro sono un parigino, un berlinese e due di Buenos Aires. Prendo l’ordine, taglio, inforno, riscaldo, stappo le birre, porto tutto al tavolo, compreso me stesso.

Tutto è cominciato in quell’attimo, tra la mano di dio, un francese che mi prende per i fondelli, un tedesco che mi chiede della mia squadra e la pioggia calda, l’olio che rumoreggia sulla pizza, i forni e la marea che cambia e lascia cose incredibili appena sotto la sabbia, e le vediamo, come gabbiani che si buttano in picchiata. Il figlio del toro argentino mi spiega: “Non provare a capire lo spagnolo di mio padre, non lo capisco neanche io, lui parla solo argentino”. C’è chi parla di Van Basten, chi di Zidane, chi di Higuain. Qualcuno si aspetta quel nome, ma l’argentino fa solo il gesto della mano di Dio, in effetti non c’è altro da aggiungere, anche uno del River lo sa, mica è scemo, e pare che tutti siano comunque ipnotizzati da questo coso basso e con le rughe di un minatore, con le braccia di un marinaio, che ci porta a parlare del suo vero giocatore preferito: Omar Sivori.

Tutto ha ormai preso l’aria di una sbronza, di una sigaretta che brucia alla gola per le risate, di un mito, tutto profuma di bagnato, dentro e fuori, in pizzeria e in strada. Moretti a fiumi, incredibile miracolo.

La marea lascia il suo odore, il suo sudore, lascia calcio raccontato e lirico, arte, bellezza, euforia, e alla fine lascia al sudaca il suo sigillo: “Eh, niños, Omar jugaba una barvaridad!” e con la mano disegna nell’aria una saetta, un capitone, una serpe.

Il figlio del toro mi ha spiegato che questo è un modo di dire tutto argentino, ma non ne avevo dubbi. Il berlinese e il parigino sono in delirio; piccolo appunto: loro masticano anche lo spagnolo.

L’indomani sarebbero ripartiti tutti: tedesco, francese e argentini. Trezeguet mi saluta: “Ciao Diego”, magari, comunque gli sorrido, avrei dovuto avvisarlo che il destino era dalla mia quella sera, e nemmeno i tedeschi possono nulla contro il destino.

Quindici euro di mancia. I francesi sanno perdere, non c’è che dire.

Mentre chiudo, il toro e il figlio spuntano dalla notte: “ Vogliamo un ricordo di te”, ammetto di aver creduto ad una rapina, invece ho una foto in più sul cellulare.

Juega una barvaridad.
Andrea Virgilio

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