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Perché non sono andato a vedere il Giro d’Italia

Ogni sport ha la sua poesia. Il ciclismo è invece un romanzo, storie che si intrecciano divise per capitoli. Senza aver visto né Coppi né Bartali (ma neppure Moser) me ne appassionai sin da bambino. Se c’erano i tapponi di montagna del Giro o del Tour lasciavo il pallone e gli amici e tornavo a casa per sedermi affianco a papà. Solo nei weekend con papà, durante la settimana lui tornava da lavoro e io gli raccontavo la tappa.
Giocavo pure io a fare il ciclista, però su una Bmx scassata o su una mountain bike. Pedalavo fino a casa degli amici o ai campi di pallone con la vocina alla De Zan nelle orecchie che mi faceva essere El Diablo Chiappucci o Il Pirata Pantani. Ma piaceva solo a me quello sport, gli altri ragazzini mi prendevano sempre in giro che mi piacesse una disciplina così noiosa.
Il ciclismo era ancora una favola, però credibile. Se i corridori facevano uso di sostanze dopanti il più delle volte non lo sapevamo. E così si confermava il vecchio proverbio dell’occhio che non vede e del cuore che non duole. Il primo ciclista preferito fu Chiappucci, poi venne il tempo della bellezza estetica della pedalata del russo Berzin. Quando Pantani fece la sua comparsa stratosferica divenne anche per me un idolo: come Patrizio Oliva, Tomba, gli Abbagnale. Con Pantani sulla scena pure i miei amici cominciarono ad interessarsi al ciclismo, Marco divenne un’icona. Ricordo i titoli dei quotidiani sportivi in estate: “Ulivieri: sarà un Napoli alla Pantani”, ma dissero lo stesso tanti altri. Tutti volevano essere Marco Pantani, pure Montezemolo diceva così della Ferrari.
Poi venne quel 5 Giugno del 99’ a Madonna di Campiglio. Ogni favola svanì. Cominciò forse da lì la debacle interminabile di questo incantevole sport. Come con Maradona seguivo i ritorni di Marco sperando con flebile speranza che ritornasse quello di prima. Ma venne la depressione, la droga, la solitudine e Pantani non ritornò mai più dopo una carriera già costellata da diverse sfortune. Proprio da queste parti, in costiera amalfitana, nel 1997 un gatto nero gli tagliò la strada facendo cadere Marco rovinosamente. Ma quella volta Il Pirata riuscì a rialzarsi dalla sfortuna.
Oggi il Giro passa da qui, da Napoli. Non andrò a vederlo. Nessuno riesce più a capire se questo sport è pulito o c’è sempre qualcuno che riesce a farla franca andando più forte. Il ciclismo per me morì quel giorno a Madonna di Campiglio e poi il giorno del mio onomastico, il 14 Febbraio del 2004. Marco se ne andò, definitivamente, ma forse per tanti appassionati di questo sport era morto già tanto tempo prima.
Chissà se un giorno riuscirò ad innamorarmi ancora così perdutamente di questo sport. Armstrong non mi è mai piaciuto, la speranza si chiamava Alberto Contador, un fenomeno. Poi pure lui è finito nel tritacarne di accuse e processi. Perché se prima una vittoria la si sanciva all’arrivo, oggi bisogna aspettare tre gradi di giudizio. Il “Processo alla tappa” di zavoliana memoria ne fu solo uno strano presagio. Passa da Napoli, oggi, uno dei tanti cortei. Non sono disoccupati. Sono ragazzi a pedale libero in attesa di processo. Che pena!
Valentino Di Giacomo

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