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Noi tifosi del Napoli divisi tra grillini e fautori delle larghe intese

Inciucio, ancien regime, vaffanculo, golpe, golpetto. Slogan e parole che provengono dall’Italia degli ultimi giorni che si scopre, nella sua “rumorosità visibile”, un po’ grillina. Immagini di piazze in subbuglio che ci restituiscono quel Paese sempre in lotta con sé stesso dove qualcosa contro cui protestare si trova sempre.

Pure una parte di tifosi del Napoli è grillina. Alla faccia di movimenti neo-borbonici, di rivendicazioni indipendentiste e di spaccature culturali, Napoli non è così distante dall’Italia. I tifosi grillini sono insoddisfatti pure se il Napoli si qualifica quasi certamente al secondo posto ottenendo l’accesso diretto alla Champions. Si fanno largo al grido di: “Vaffanculo, volevamo lo scudetto!”. Perché non è possibile sprecare la forza del premio Nobel Cavani capocannoniere, l’energia rinnovabile di Marek Hamsik e le piste ciclabili di Maggio, Armero e Zuniga senza vincere nulla. Basta austerità, si investano soldi e si facciano acquisti. La vittoria come un reddito di cittadinanza. E chissene se i fondi non sono abbastanza, se l’anno prossimo non si farà così si raccoglieranno le firme e si indirà un referendum per uscire dall’Euro(pa) e concentrarci soltanto sul campionato.

C’è poi il tifoso-azionista-cliente-utente, raccontato giorni fa mirabilmente da Massimiliano Gallo, che invece è conscio delle difficoltà economiche che sussistono. È la parte meno visibile, più silenziosa ma maggioritaria. Quella per intenderci che, pur con diverse sensibilità, alle elezioni prenderebbe oltre il 70% dei voti. Il tifoso della responsabilità e delle larghe intese è colui il quale non si dispererebbe per la cessione di Cavani in cambio di una cifra stratosferica e che non chiede l’acquisto di un top-player perché il suo ingaggio sforerebbe il “patto di stabilità” del bilancio. Sono felicissimi del secondo posto e hanno sempre preferito la concretezza di Hamsik ai guizzi di Lavezzi. Sono la maggioranza nascosta che allo stadio non ci andava per non gridare “Olè olè olè, Pocho Pocho” come una bestemmia. Un po’ come paragonare Mario Monti ad Alcide De Gasperi o Vendola a Berlinguer.

Nello scasso di un’Italia in cerca di rappresentanza e di tifosi perennemente orfani di Diego, nel buio di un dialogo impossibile tra le diverse anime, tra le urla dei grillini e gli inciucetti responsabili, chi decide sarà sempre lui. Lui, il Presidente! Ma Aurelio II il massimo che potrà concedersi sarà una vocazione “migliorista”. E non mi stupirei se, dopo “Re Giorgio”, Fabrizio D’Esposito un giorno scriverà pure “Re Aurelio”, ma senza i dieci saggi perché di quelli (vedi Bigon) non se ne trova neppure uno. E, tra mille paradossi, l’immagine plastica del Paese è ritrovarsi per una Domenica sera tutti uniti a tifare la Juventus manco fosse Rodotà… Cosa non si farebbe del resto per annientare Berlusconi… Ma lì dove può Aurelio, neppure Giorgio può.
Valentino Di Giacomo

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