Quando le cose non vanno come devono andare, bisogna avere il coraggio di intervenire drasticamente, e dare un taglio anche a ciò cui si è più attaccati. Ieri sera ho deciso di dare un turno di riposo allo scannetiello portafortuna. Era un po’ di tempo che non mi dava le soddisfazioni di una volta. Sarà stata la stanchezza, ma ho pensato che un po’ di turn-over non avrebbe potuto che giovargli. Quindi tra le proteste degli astanti divanisti di casa Di Fenzo, ho lasciato il prezioso cimelio rigorosamente chiuso nello sgabuzzino. I frutti si sono visti quasi subito. Gli azzurri sembravano degli invasati, per niente intimoriti dalla corazzata anglo-araba che cercava di contenere le sfuriate napoletane. Il Pocho era tornato Pochomio, e Matador, chioma al vento, sembrava un Dio greco sul suo carro alato. Quel colpo di testa che ha spinto il primo pallone in rete è stato deviato appunto dalla fluente capigliatura che di Cavani adorna la testa. O forse, se deviazione c’è stata, e stata dovuta ad un pensiero scaturito non solo da quella testa, ma dai cuori di tutto lo stadio e dal ventre della città intera. Abbiamo mancato il raddoppio immediato che avrebbe stroncato i citizen a mo’ di Villareal. Il Pocho si è mangiato i soliti gol, ed Aronica ha sfoderato la sua consueta “aronicata” assassina. Quando Balotelli ha infilato il nostro portiere con un tocco tanto semplice quanto inaspettato, per poco non sono dovuti intervenire i rianimatori specializzati per risollevare il morale della nostra tribuna divanista. Adesso sarebbe facile affermare che neanche per un secondo abbiamo pensato che avremmo potuto non vincere quella partita. Ma è stato proprio così. Alla fine del primo tempo c’è stato il solito assalto al mini-buffet preparato da quella santa donna moglista, e rifocillati a dovere, ci siamo tuffati nel secondo tempo con le solite recriminazioni che si alzavano dal divano: “A chi aspetta a cagnà a qualcuno!”. “Quando ‘a mette a n’ata punta, ca chiste nun se firene e movere?”. “Voglio vedè Inler quand’o fa ‘nu gol ‘a fuori area, comm’ha fatto contr’a nuie l’anno passato!” Poi, magia di Lavezzi che libera Dossena, cross al centro e tapin vincente di Cavani: Fèrmati cuore! Non schizzare via dal petto, anche se sei felice come un falco che spicca il primo volo. Ci stropicciamo gli occhi: oltre ad essere andati in vantaggio, stavamo pure dominando. Poi Pocho che semina tutti e tira addosso al portiere, Marekiaro che gioca a tiro a segno col palo, e Maggio che si sconocchia invece di concludere a rete. Ma loro non esistevano. Avrebbero potuto prendere cinque reti e non reagivano ancora. Ma sapevamo che non poteva durare a lungo. Quando hanno cominciato a chiuderci nella nostra metà campo, ogni palla che buttavano avanti sembrava smembrare le nostre membra. Dieci minuti di inferno. Inferno rossonero. Altro errore commesso dagli inglesi, eppure Mancini avrebbe dovuto saperlo che quei colori hanno sul Napoli lo stesso effetto che ha il rosso su un toro infuriato. Al fischio finale il risultato ci stava pure stretto, in tv passava la panoramica del S.Paolo in festa, volume al massimo, ci siamo ritrovati tutti a cantare ‘O surdato ‘nnammurate, moglie e figlie che si univano al coro ed entusiasmo alle stelle. Ma che ne possono sapere i tifosi strisciati della soddisfazione che abbiamo provato noi: Tutte le loro coppe e coppetelle, più o meno rubacchiate o meritate, non possono valere quella che è stata per noi la sublimazione della soddisfazione. Posso esagerare? Voglio esagerare: ci siamo levato da faccia gli schiaffi che avevamo subito con l’autorete di Ferrario contro il Perugia. Core ‘ngrato Altafini ci pareva più core e meno ‘ngrato. De Santis parava anche il rigore assegnato da Gonella negli spogliatoi di S.Siro. Si diramavano perfino le nebbie accentratosi sul S.Paolo quel primo maggio ’88. E mi è sembrato di battere anche il Real Madrid che neanche i migliori 43 minuti della storia del Napoli avevano potuto piegare. Ci aspetta la trasferta spagnola: Villareal diventerà Villaricca, o Villa Literno. Fatevi da parte, non potete intralciare il nostro cammino. Mi rivolgo a voi come don Peppino Marotta si rivolgeva al guappo prepotente de “L’oro di Napoli”, dopo che Don Saverio, la sera della Vigilia, aveva trovato il coraggio di cacciarlo di casa: “Fatevi da parte, non vedete che siete degli intrusi in quest’atmosfera di festa?”
Un caro saluto a tutti da
PASQUALE DI FENZO