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Marino: Sfido un Napoli che è anche mio

E’ la partita del cuore: e dentro, in quest’ora e mezza che sembra calcio e invece è un incrocio esistenziale, si racchiudono emozioni vive, l’estasi e il tormento, le gioie e pure le sofferenze. Atalanta-Napoli è l’universo di Pierpaolo Marino, il passato che ritorna prepotentemente a due anni da una separazione rumorosa, il presente che vibra, il futuro da svelare: e in quel pallone che rotola, novanta minuti da attraversare attraverso la nuvola dei ricordi, si posano, lievi e persino inedite, le sensazioni «misteriose» della prima volta. Atalanta-Napoli: cioé Marino che racconta Marino e però anche De Laurentiis, Lavezzi & Hamsik e tutto ciò ch’emerge in una sfida ch’è una retrospettiva inevitabile e che non finisce in fuorigioco.

Marino, cosa si prova?
«Sensazioni piacevoli, nessun senso di rivalsa. Per me Atalanta-Napoli è una festa, perché mi dà l’opportunità di rivedere i passi salienti della mia carriera. E poi sono già stato un ex».

Vorrebbe far credere che non si emozionerà?
«Vorrei che non ci fosse intorno a questa sfida un’interpretazione distorta. E’ chiaro che ho un cuore che batte ed è altrettanto chiaro che non sarà una partita normale: però è una giornata che vivrà esclusivamente di sentimenti positivi».

La cosiddetta rivincita non la anima, insomma?
«Non ho niente da dimostrare, a Napoli. Ho dato e ricevuto. Posso con fierezza sostenere di essere il manager che ha vinto di più, persino più di Moggi: uno scudetto nell’87, poi la cavalcata dalla C alla qualificazione nell’Intertoto».

E la frattura….
«Ma quella è stata ricomposta da tempo. I miei rapporti con De Laurentiis sono straordinari. Nel calcio, come in un matrimonio, ci sono momenti di tensione e di frizione: andai via per colpa di due mesi terribili, gli unici veri due mesi di insuccessi».

Era finito il ciclo?
«Visti i risultati della squadra, direi di no. C’è tantissimo mio Napoli in campo e lo dico solo con orgoglio, al netto di qualsiasi interpretazione maliziosa. Ma sapevo che quel gruppo sarebbe cresciuto, aveva margini di miglioramento: quando parlavamo di progetto, io e Aurelio, sostenevamo proprio questo».

Lei e De Laurentiis…
«E’ stata una rottura fragorosa, ma figlia di quel momentaccio. Poi nell’ira si dicono cose che restano lì, prive di peso e di valore. Il tempo è un galantuomo ed ha dimostrato che c’era un’idea forte di calcio alternativo: noi e l’Udinese, all’epoca, avevamo la media età più bassa. E ora gli Hamsik, i Gargano, i Lavezzi sono ancora giovani e sono i trascinatori di questo gruppo che in Champions sta regalando momenti indimenticabili per chiunque».

Però fu un divorzio che fece scalpore, nei modi.
«Che capovolse la realtà, perché il giorno del mio compleanno, il 30 agosto, Aurelio era a Los Angeles e mi fece recapitare come regalo un meraviglioso computer accompagnato da un biglietto d’auguri bellissimo. Le cinque giornate, soprattutto la traumatizzante notte di Milano contro l’Inter, costituirono la spaccatura. Ma il rapporto è stato impeccabile, fraterno».

Vi vedrete e dunque…?
«Ci abbracceremo, come da sempre. Ripenso spesso alle telefonate in casa, ad Avellino, di De Laurentiis: restava a chiacchierare con mia madre a lungo. Cè stato un clima familiare che non può essere rimosso da risultati poco convincenti e da una visione diversa durata niente. Perché adesso il campo ha dato ragione a me e a lui, quel Napoli è arrivato in Champions, spesso vedo giocare i nove undicesimi di una squadra che abbiamo costruito assieme».

Revival: il colpo?
«Non uno, ma tre: Lavezzi, Hamsik e Gargano. Undici milioni di euro che adesso non so quanto valgano, perché non è possibile stabilirlo. E però potrei aggiungere anche Campagnaro a due milioni e Mannini, poi rientrato alla base; e De Sanctis, un colpo strepitoso. O Cannavaro a parametro zero. O Grava che dalla C è rimasto ed è ancora lì».

L’affare che invece non rifarebbe?
«Un giochino che non può piacermi, perché sarei ingiusto verso un calciatore. Io so che possono capitare annate storte, e so che nel contesto di cinque anni, con decine e decine di acquisti, si possa sbagliare. Avrò sbagliato, ma c’è qualcuno che non l’ha fatto?».

Quante telefonate, in questi giorni?
«Se dicessi decine, mentirei. Molte di più. E lo stadio di Bergamo è troppo piccolo per contenere le richieste di biglietti. Ma io sono sistematicamente salutato con affetto da chiunque tifi Napoli».

L’Atalanta rappresenta per lei una rivalsa?
«Ribadisco: non ho motivo per sentirmi avvelenato. Napoli ha determinato gran parte del destino di Pierpaolo Marino. L’Atalanta mi ha restituito entusiasmo, questo è vero».

Ed ha dimostrato che Denis segna…
«Io lo sapevo ma lo sapevano anche a Napoli, perché El Tanque ha guadagnato l’affetto della gente attraverso prestazioni generose e un rendimento tutto sommato appagante. Ora sta dimostrando ciò che si era intuito, ma sono diverse le condizioni: chi vive di calcio non si stupisce di ciò, sono cose che capitano».

Bello vedere i suoi ragazzi cresciuti….
«Dà soddisfazione, onestamente. Ma le qualità del Napoli mi erano note: quando andai via, immediatamente dopo, il lavoro di Mazzarri ha rivalutato l‘intero organico, capace quasi di conquistare la qualificazione in Champions. Poi fu Europa League, per colpa della disgraziata partita con il Parma. Però ad un certo punto….».

Il giocatore simbolo del Napoli?
«Senza offesa per nessuno, è Lavezzi. Esprime la fantasia, l’inventiva dei napoletani. E’ uno scugnizzo nato per caso in Argentina. E’ la rappresentazione della gente che lo ama, perché da lui viene spinta a sognare. E’ il ragazzo cresciuto tra i vicoli che ha imparato a sbrigarsela da solo. Ce ne sarebbero altri, Hamsik o Gargano o anche Cannavaro oppure Cavani che è andato ad incastrarsi alla perfezione in un telaio vincente, però il Pocho strega chiunque».

Sarà peggio al ritorno, quando tornerà al san Paolo?
«Ma no, perché anche a Fuorigrotta sono già tornato. Pure quel giorno avvertirò la felicità di chi sa d’essere tra amici, tra gente che ti ha voluto e ti vuole bene. E il discorso vale soprattutto per De Laurentiis: abbiamo condiviso momenti che un dissapore, una lite, non potrà mai distruggere. I dissidi momentanei non azzerano il rapporto umano tra me e lui».

Se le chiedono di fotografare in un istante-chiave la sua esperienza a Napoli?
«Non riuscirei, perché ci sono stato in due tappe, perché ho vinto tanto. Ma se dovessi tentare di evitare la banalità, ripenserei ai giorni duri della ricostruzione, addirittura al primo Napoli, ai Pozzi, agli Abate che ora è in Nazionale, all’acquisto di Calaiò. Con De Laurentiis abbiamo guardato sempre avanti e i risultati stanno dando ancora ragione».

La corsa scudetto è possibile?
«Visto l’appiattimento dei valori, saranno in tanti a poterselo permettere. E le prerogative di questo Napoli spingono a ritenerlo autorevole candidato. Il logorio della Champions ha un suo peso e forse la differenza tra i titolarissimi di Mazzarri ed i loro sostituiti è ancora evidente: però si può fare. Il Napoli ha le qualità per giocarsela con chiunque e la vittoria di martedì notte, meravigliosa, lo testimonia».

Antonio Giordano
Corriere dello Sport

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