Ci sono partite, come quella contro l’Udinese, che ti lasciano addosso un senso di serenità, di soddisfazione e di felicità immensa. Sono quelle partite che temi fin dall’inizio del campionato perché sai che i precedenti non sono favorevoli, perché capitano in un periodaccio e incastrata in altri impegni altrettanto importanti. Una partita così ce l’hai sempre quando tu fai fatica a segnare e loro ne fanno almeno tre a tempo e ne incassano solo uno in tutto. Sono quelle partite in cui sei talmente tesa che non riesci a lavorare nelle ore precedenti e quindi torni a casa prima. Ma nonostante tutto prepari lo zaino all’ultimo momento perché fai finta di non pensarci e rischi alla fine di arrivare anche tardi. E cominci ad imprecare già al primo stop rosso che vedi in lontananza di macchine ferme nel traffico in tangenziale.
Sono queste le partite che preferisco vincere. Quelle per cui ti prepari già il commento ironico pescato nella storia: “Non era questa la partita che dovevamo vincere”. O ti prepari già alla possibile intervista di Mazzarri, sempre uguale, in cui parla di occasioni goal a caterva per noi che non siamo stati lucidi o cinici e di episodi arbitrali sfavorevoli. Per non dire che l’Udinese gioca un bel calcio e davanti alla porta non sbaglia mai.
Di quelle partite che pensi a tutto ciò per pararti il sedere, ma che in fondo sai che si possono vincere se solo si gioca come sappiamo fare. Di quelle partite che pensi a tutto ciò mentre ti dici che il tuo Napoli è forte e non ti deluderà.
Ebbene, io penso a tutto ciò mentre vado allo stadio, forte di una discreta esperienza sui campi di calcio e di tanti pre-partita di questo tipo. E ogni volta penso alla mia prima volta. Non la ricordo affatto. E’ facile non ricordarla quando allo stadio ti ci portano a 4 anni. Curva A all’epoca. Ma so che da allora non ho praticamente più smesso, anche se con qualche intervallo per emigrazione al nord.
Ecco perché una volta arrivata in curva, questa volta la B, raggiungo la mia famiglia azzurra e sono colpita da un bimbetto che arriva col papà in posti presi da amici, nella fila davanti a noi. Capello un po’ lunghetto biondo cenere, guance generose e simpatiche, sui 6/7 anni, non di più, giubbino e maglia rigorosamente SSC Napoli. Padre orgoglioso che lo dona al gruppo per l’iniziazione a qualcosa che, ne sono sicura, non lascerà più.
Si guarda intorno, il bimbetto. Non siamo molti, ma lui penserà che siamo tantissimi. La pioggia non l’ha fermato. Il papà chiama la moglie per dire che è tutto ok. L’acqua non scende più copiosa e si sono sistemati con una buona visuale. Il bimbetto non ci pensa neanche a parlare con la madre. Lui deve godersi lo spettacolo. Il manto erboso verde acceso, i riflettori invece ancora spenti, i distinti e la tribuna semivuoti, in giro stendardi e sciarpe e la curva che si riempie di strani personaggi che si salutano come se non si vedessero da anni, felici di essere sempre presenti. Gli sfila davanti il mitico “Chi ‘o ‘e” e così fa la conoscenza dell’acquaiolo più famoso della curva B.
Non vuole perdersi neanche il minimo particolare. Ecco perché tentenna quando il padre gli dice di andare in bagno con lui, prima che si affollino le scale e diventi complicato scendere. Glielo deve chiedere due volte. Lui alla fine ubbidisce e mentre si allontana uno del gruppo si permette di prenderlo in giro gridandogli: “Ma tu non eri tifoso della Roma?”. Si gira di scatto, con il rischio di frustarsi gli occhi con i capelli. Lo fulmina con lo sguardo, temendo che una diceria del genere possa rovinargli la reputazione. Una reputazione appena cominciata. Il papà gli mette un braccio sulla spalla, lo tranquillizza e lo difende: “ Uaglio’!Nun pazzia’!” E si allontanano con lo stesso passo deciso.
Quando finalmente entrano i giocatori, si presentano davanti a lui scene che difficilmente dimenticherà. Da dietro gli arrivano coriandoli di giornali. Musica e cori e qualche fumogeno. Cambia posto. Lui è venuto in curva per vedere il Napoli, mica i coriandoli, la musica e i cori! Ancor meno i fumogeni.
Segue le azioni, attento. Sul primo goal non so come reagisce perché anch’io vado in curva per vedere il Napoli. Sul secondo, invece, vedo il suo giubbino volare e lui che ride divertito.
Nell’intervallo è già più a suo agio. Accetta un po’ di cioccolato, vuole sapere i risultati delle altre partite e quando le squadre rientrano sa già che ci si alza, si applaude e si incita. Salta quando gli altri saltano, batte le mani quando gli altri battono le mani. Insomma, tifa come tutti gli altri.
Il bimbetto comincia il suo viaggio in curva così, con una vittoria in una di quelle partite che temi e che ti mettono ansia. Godendosela fin dal primo minuto, assaporandola in ogni sua emozione e sentendosi sempre più a casa.
Io non la ricordo la mia prima partita, ma sono sicura che più o meno sia andata così.
Deborah Divertito