La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
….
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
…
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
Voglio andare controcorrente. Ieri è stata una delle più belle giornate che abbia mai vissuto negli ultimi vent’anni. Continuavo a leggere i post sul Napolista, i fratelli Caponi (che siamo noi) e continuavo a pensare al sabato del Villaggio, quello che vive di attese, quello che gode nell’aspettare il dì di festa. Per poi arrivarci e scoprire che è noioso e tutti lo trascorrono pensando all’indomani, al giorno del lavoro. Ieri Ilaria rassettava la casa in silenzio, Pedersoli mi inondava di messaggini su Trenitalia, Fabrizio e Pino scrivevano del loro viver Milano. E tanti altri ancora che raccontavano emozioni, illusioni, luci a San Siro. E Sky continuava a mandare le immagini nostre, del blog, dei napolisti all’assalto di San Siro in modo gioioso. Lo so, abbiamo perso tre a zero e questo alla fine è quello che conta. Ma le ventiquattr’ore in cui tutte le televisioni parlavano di noi come non accadeva da vent’anni, le ventiquattr’ore in cui Gazzetta e Corriere hanno rispolverato editoriali di paura, le ventiquattr’ore in cui i fratelli Caponi si sono materializzati in dodicimila sugli spalti, quelle restano in tutti noi. Il nostro Sabato del Villaggio, quello dell’attesa ci ha resi forti ed uniti. Non dimentichiamolo. Ed un 3-0 non lo può spazzar via. Il rigore? I fuorigioco? La cazzimma? Il non gioco? Inciampando ci si rialza. La differenza rispetto al passato è che sappiamo che ci possiamo rialzare. Ne abbiamo le possibilità, la forza e le prospettive. Prima, in fondo al barile, potevamo sempre raschiarlo per andare ancor più giù.
Stefano Romano