La Fiorentina si inventa la plusvalenza retrodatata e si autodenuncia nel bilancio
Ha venduto Kayode e Biraghi a luglio 2025 ma le relative plusvalenze sono state contabilizzate nel bilancio al 30 giugno 2025. Lo scrive il club in una nota integrativa al bilancio

Cm Basilea (Svizzera) 18/05/2023 - Conference League / Basilea-Fiorentina / foto Cristiano Mazzi/Image Sport nella foto: Rocco Commisso
La Fiorentina si inventa la plusvalenza retrodatata e si autodenuncia nel bilancio
Si può vendere un giocatore in un determinato anno e iscriverne la plusvalenza nell’anno precedente? Certo che no, a voler rispettare il buon senso ancor prima delle regole contabili. Caratteristiche mancate alla Fiorentina: a luglio scorso, ha venduto Kayode al Brentford e Biraghi al Torino, rispettivamente per 17 milioni e per 250mila euro, ma le relative plusvalenze di 15,16 milioni e di 146mila euro sono state contabilizzate nel bilancio al 30 giugno 2025.
Ora, di plusvalenze taroccate è pieno il calcio italiano, ma questo caso è diverso: non si è trattato di gonfiare il valore di un giocatore – sapendo peraltro che, a meno di una confessione, nessun giudice potrebbe mai acquisire la prova della furbata – bensì di anticipare plusvalenze vere per abbellire i conti. Che poi, cosa sarebbe cambiato nella sostanza? Chiudere con una quarantina di milioni di perdite invece che con i 23,23 che mostra il bilancio non avrebbe certo prodotto sollevazioni popolari. In tutta questa vicenda, fa sorridere un aspetto: è la stessa Fiorentina a farsi scoprire, perché, a pagina 38 della nota integrativa al bilancio, include le vendite di Kayode e Biraghi nei “fatti di rilievo avvenuti successivamente alla chiusura dell’esercizio”. Pare proprio di rivedere la scena in cui Fantozzi tenta di entrare con una radiolina nella sala proiezioni, e riuscirebbe a eludere il controllo se non fosse egli stesso a consegnarla all’addetto.
Del resto, che la gestione della società viola sia alquanto fantozziana lo dimostrano l’organigramma e il suo funzionamento: il presidente è in America, a Firenze non mette piede da maggio né si sa quando tornerà. Ma, dicono le veline aziendali, si mantiene “in contatto costante”: ah beh, sì beh, avrebbero chiosato Dario Fo e Enzo Jannacci. Il direttore generale Ferrari si è sempre occupato di comunicazione, dal Sole 24ore a Esselunga a Coesia, e in queste vesti era entrato nella Fiorentina nel 2018, salvo poi essere catapultato sulla poltrona che fu di Joe Barone, anche lui non certo un Allodi. Il direttore sportivo Goretti è appena stato promosso in seguito alle dimissioni di Pradè.
Deve essere proprio grazie ai suoi trascorsi da comunicatore che Ferrari sta in questi giorni parlando solo dello stadio. Lo scopo è duplice: cercare di ottenere dal Comune di Firenze uno scambio a condizioni molto favorevoli tra finanziamento a cura della Fiorentina della parte di ristrutturazione non coperta dai fondi del PNRR e diritti di utilizzo dello stadio, nonché imputargli i pessimi risultati. “La Fiorentina sta perdendo un sacco di soldi. Solo di biglietti 5 milioni all’anno. Se poi ci aggiungiamo bar, ristoranti, merchandising, sponsor e quant’altro si aggiungono altri 3-4 milioni” ha dichiarato pochi giorni fa alle pagine fiorentine di Repubblica: a parte l’artificio retorico del “e quant’altro” che fa volare la fantasia ma che, tradotto, vuol dire “e null’altro”, sono numeri propagandistici, smentiti dall’ultimo bilancio: quanto ai biglietti, ci sono stati 3 milioni in meno di incassi, ma se ne può attribuire una parte alla capienza ridotta: a essere benevoli, solo il milione e 900mila euro in meno per le gare di campionato. Benevoli perché non si sa cosa sarebbe successo agli incassi con una diversa politica di prezzi. La diminuzione relativa alla coppa Italia deriva dall’eliminazione agli ottavi contro l’Empoli, mentre l’anno prima la Fiorentina era arrivata in semifinale, avendo giocato contro Parma, Bologna e Atalanta. Quella europea è attribuibile alla disaffezione che gran parte del tifo mostra per quella sorta di torneo dei bar di periferia chiamato Conference.
Quanto agli sponsor, i ricavi sono persino aumentati, 665mila euro in più rispetto all’anno precedente. Sul resto – bar, ristoranti e merchandising – è meglio sorvolare: forse Ferrari pensa di vendere più magliette se lo stadio è nuovo? E quanto immagina di incassare, al netto delle spese, da bar e ristoranti? E, a proposito di valori netti, l’affitto dello stadio è costato 120mila euro in meno, proprio a causa della capienza ridotta, così come per lo stesso motivo sono diminuiti di 428mila euro i costi di servizio biglietteria e controllo ingressi. Il tutto su un fatturato complessivo di 198,61 milioni: briciole, insomma. Molto più consistente è la riduzione dei ricavi direttamente collegati ai risultati: 9,12 milioni, dei quali 4,82 per i minori premi della Conference, dove la squadra è arrivata in semifinale invece che in finale, 2,6 per il peggior cammino in Coppa Italia e 1,7 per la mancata partecipazione alla Supercoppa. Ma sugli aspetti sportivi, il silenzio della dirigenza è totale.
Ferrari ha parlato anche al Social Football Summit: “A Milano il Comune ha fatto di tutto per aiutare i club: si è vista la volontà della politica, cosa che non è successa a Firenze”. Logica ferrea: poiché un comune ha svenduto lo stadio e un pezzo di quartiere a Inter e Milan, perché non fare così ovunque? Oltre tutto, il fondo Red Bird, che controlla il Milan, e Columbia Soccer Ventures, che controlla la Fiorentina, sono vicini di casa, avendo entrambi sede al numero 1209 di Orange Street a Wilmington nel Delaware, mentre il fondo Oaktree, che controlla l’Inter, è a quattro miglia di distanza. Perché fare figli e figliastri?











