Il Cio si rifiuta di dare una medaglia alla più forte pattinatrice del mondo. Dopata, o forse no
La campionessa russa Valieva (15 anni) al centro di un caso assurdo: il Tas ha deciso che può gareggiare, ma il Cio si ostina a considerarla dopata

La pattinatrice dopata che non lo è può gareggiare, ma se vince non sarà premiata. Se questa frase ha poco senso bisognerebbe chiederne conto al Cio, che sta mettendo su un papocchio olimpico come pochi altri nella storia.
In breve: Kamila Valieva ha 15 anni è una delle più forti pattinatrici al mondo. Forse la più forte. Fa pattinaggio artistico, non di velocità. Una “portata in alto dalle corde di Dio”, scrive il Whashington Post. E’ russa, e poiché la Russia è squalificata per doping di Stato, partecipa ai Giochi invernali di Pechino sotto il vessillo del Roc, Comitato Olimpico Russo. In pratica è la Russia ma non si può chiamarla Russia. Ebbene, Valieva è stata trovata positiva ad un test antidoping di due mesi fa, quindi prima delle Olimpiadi, non durante. Ai test cinesi risulta pulita. Ha gareggiato e vinto nel Team Event, la prova a squadre. E’ una fuoriclasse, come detto: ha stabilito il record olimpico di punteggio con l’esibizione “In Memoriam”, ed è inoltre diventata la prima pattinatrice di figura a fare un salto quadruplo alle Olimpiadi. Il Cio ha deciso di annullare la premiazione in attesa dei vari ricorsi.
La sostanza vietata che le hanno riscontrato è la trimetazidina, un agente metabolico per il cuore che aiuta a prevenire gli attacchi di angina, in teoria può aumentare l’efficienza del flusso sanguigno e agevolare una maggiore resistenza allo sforzo.
Il Tas ha deciso che Kamila Valieva può continuare a gareggiare sub iudice nella prova individuale. Con le mani legate il Cio ha risposto a sua volta che se dovesse finire di nuovo sul podio (cosa abbastanza facile) non ci sarà alcuna cerimonia per la consegna delle medaglie. Dicono che magari se ne parlerà dopo la fine dei Giochi. Forse.
Secondo il Cio “nell’interesse dell’equità nei confronti di tutti gli atleti e dei Comitati Olimpici coinvolti” dalla vicenda, “non sarebbe opportuno tenere la premiazione dell’evento a squadre di pattinaggio artistico durante i Giochi Olimpici Invernali di Pechino 2022 in quanto includerebbe un atleta che una positività a un campione A (dunque senza controanalisi effettuate, ndr) la cui violazione delle regole antidoping non è stata però accertata”.
Una storia assurda, fin dalle premesse. Dalla quale il Cio esce a pezzi.
“La criminalizzazione della virtuosa quindicenne Kamila Valieva – scrive il Whashington Post con un editoriale di fuoco – è il disastro morale che i colpi di scena pseudo-puritani del movimento antidoping hanno imposto in questi anni, con la loro tolleranza zero. Ha portato alla condanna di un innocente. La storia di Valieva ha smascherato ancora una volta la WADA e la sua scadente tossicologia, le persecuzioni arbitrarie, le infinite spirali legali. Non ci sono prove certe che una traccia di un farmaco innocuo chiamato trimetazidina abbia dato a Valieva un vantaggio più grande della larghezza della lama dei suoi pattini, né che l’abbia preso volontariamente. Ci sono invece prove schiaccianti che lei sia già la più grande pattinatrice artistica del suo tempo, e forse di ogni tempo. Non c’è alcuna sostanza, nessuna, che spieghi la sua abilità artistica. L’impressione è che sia portata in alto dalle corde di Dio. La WADA è come un gatto impazzito, aggrovigliato nelle sue solite matasse illogiche. Questo episodio è un atto d’accusa al sistema, non a lei”.