«Dieci minuti al Bataclan mi hanno cambiato per sempre. Ho dovuto prendere ansiolitici per nove mesi»
Oggi inizia il processo per la strage del 2015. Il portavoce delle vittime a La Stampa. «In tanti mi camminarono sopra e strisciai su corpi che non sapevo se erano vivi»

Si apre oggi, a Parigi, il processo per l’attentato al Bataclan del 13 novembre 2015, quando un commando dell’Isis seminò il terrore in città uccidendo 130 persone e ferendone più di 500. Le immagini sono impresse ancora nella memoria. Il processo, che arriva dopo un’inchiesta di sei anni condotta dai magistrati con la collaborazione di 19 Paesi, dovrebbe durare nove mesi. In 1800 si sono costituiti parte civile. Gli imputati sono venti, incluso l’unico sopravvissuto del commando, il 31enne Salah Abdeslam. La Stampa oggi intervista Arthur Dénouveaux, portavoce delle vittime di quella strage. Era al Bataclan, quella sera, per il concerto degli Eagles of Death Metal.
«Darei qualsiasi cosa per non aver vissuto quell’inferno, ma è un’esperienza che mi ha arricchito dal punto di vista umano. Oggi mi conosco meglio».
Si dice contento del fatto che sarà chiamato a testimoniare, come gli altri superstiti della tragedia.
«Si deve dare spazio all’emozione. Cinque settimane saranno dedicate alle nostre testimonianze. E le vittime cercano una forma di libertà, vogliono essere se stessi. Non si può dire loro: non esagerate, siate dignitosi. Io spero che il bicchiere trabocchi. Solo così mostreremo che siamo ritornati a una certa umanità».
Racconta quella serata.
«Ero da solo e mi misi in platea. All’inizio credevo ci fosse un problema tecnico, che fossero schiantate le casse acustiche. Poi capii. Il movimento della folla mi scaraventò per terra. In tanti mi camminarono sopra e strisciai su corpi, che non sapevo se fossero vivi o morti. Riuscii a uscire in 10-15 minuti. Per strada incrociai il batterista degli Eagles of Death Metal, completamente perso. Insieme recuperammo il cantante e la sua compagna. Li portai lontano. Li misi in un taxi e detti loro una banconota da 50 euro. Mi chiamano ancora per ringraziarmi. Ero rimasto poco tempo e mi dissi: sono solo un testimone, non una vittima».
Ma non era vero.
«Il lunedì dopo andai al lavoro ma in metropolitana ebbi un attacco di panico. Poi il giovedì restai a casa. Più tardi sono arrivati nove mesi di psicologa e di ansiolitici. Dieci minuti lì dentro, con quella paura, ti cambiano per sempre».
Gli viene chiesto cosa vorrebbe dire a Salah Abdeslam, unico sopravvissuto del commando, e agli altri imputati.
«Niente, a parte che sono qui, ancora vivo. Il messaggio è proprio questo: essere in tribunale, senza dovergli dire qualcosa».