ilNapolista

Ogni anno, da cinque anni, Napoli si beve la favoletta dell’«adesso o mai più». E invece siamo élite

Ogni anno, da cinque anni, Napoli si beve la favoletta dell’«adesso o mai più». E invece siamo élite

È tutto risultato. Il giudizio del giorno dopo, ma anche del minuto dopo, dipende esclusivamente dal risultato. Una ovvietà e persino una sentenza giusta. Se vinci, ti acclamano. Se perdi, ti criticano. Il pareggio, Paolo Sorrentino docet, nella vita non esiste. Nemmeno nelle gare andata e ritorno.

Il risultato dice che il Napoli ha perso due partite consecutive. Contro Juventus e Villarreal. Entrambe in trasferta. Entrambe per uno a zero. Entrambe con un gol subito negli ultimi dieci minuti. In entrambi i casi un gol che si incastona a fatica nella trama della partita. Due conigli dal cilindro. Che, parafrasando Agatha Christie, farebbero meno illusionismo e più problema reale. Il Napoli per la prima volta in questa stagione non ha segnato in due partite di fila. Ma il Napoli, ricordiamolo, fin qui ha realizzato la bellezza di 78 gol in 34 partite per una media di 2,3 gol a partita. Una media STRATOSFERICA. Che, se rispettata solo in campionato – senza tener conto dell’Europa – significherebbe 108 gol record assoluto della storia del Napoli (al momento è 104). Quindi, per non apparire lunari o comunque ansiosi, elimineremmo il problema attacco dai problemi da trattare. Compresa la dipendenza da Higuain. Che a noi sembra una ovvietà: gioca col Napoli e il Napoli ne è dipendente. Come la Francia lo era da Zidane, un’Inter da Ibrahimovic, un’altra da Mazzola e via discorrendo.

Torniamo alle due sconfitte consecutive. Che in ogni caso non dovrebbero essere sommate. Alle elementari ci insegnavano che mele e pere non potevano essere sommate: due mele più una pera facevano sempre due mele più una pera. Ora non siamo aggiornati sui cambi di programma ministeriali ma potremmo giurare che questo principio è rimasto immutato. La sconfitta contro la Juventus ci ha tolto tre punti. Quella col Villarreal ancora nulla, rientra in una gara che si disputa sulla gara di andata e ritorno e quindi il giudizio finale andrà scritto giovedì sera. Ma due sconfitte è come se lasciassero il segno nel cielo, un po’ come i pensieri di Fantozzi.

In realtà il Napoli ha giocato due partite contro due squadre forti, perché la Juventus ora guida la serie A e il Villarreal è quarto in Spagna. Ha giocato due parti senza mai realmente andare in difficoltà, con due vere palle gol lasciate agli avversari in 180 minuti: quella di Dybala e quella regalata da Reina agli spagnoli a inizio partita. Eppure c’è sgomento. C’è sgomento laddove, come scritto oggi, dovrebbe esserci una presa di coscienza: il cosiddetto Napoli B schierato a Villarreal ha tenuto perfettamente il campo contro una squadra che pochi mesi fa ha battuto il Real Madrid. Il cosiddetto Napoli B non è composto da giocatoruncoli raccattati in giro senza criterio ma è composto da calciatori che sarebbero titolari in tante squadre di serie A e dell’Europa calcistica che conta: Strinic, Chiriches, Valdifiori, David Lopez, Mertens e Gabbiadini (almeno tre sono nazionali). Che, non si sa per quale motivo, dal magma napoletano vengono considerati nel complesso inadeguati al ruolo. E, va ammesso, alcuni elementi sono giudicati così anche quando si vince, come ad esempio David Lopez il signor Malausséne dei tifosi del Napoli. Anzi, a parere di chi scrive sono giocatori che avrebbero dovuto avere più minuti nelle gambe in serie A perché non sono affatto mediocri.

Il Napoli viene considerato un club con una rosa scarsa quando appena due anni fa l’Atletico Madrid vinse un campionato e perse una finale di Champions di fatto al 93esimo con una rosa in cui il quattordicesimo uomo era il uallarito Sosa, sì il Principito proprio lui.

Il problema, in realtà, come sovente accade, è nelle nostre teste. Annientate dalla paura. Non riusciamo a concepirci forti, proprio non ci arriviamo. Il che è un inconveniente non da poco. Se un difetto c’è stato a Villarreal, così come a Torino, è stato un difetto difficile da eliminare. Non siamo entrati in campo con l’obiettivo in testa. Giocare bene è certamente importante ma è uno dei percorsi possibili per giungere primi al traguardo. Entrare in campo per vincere e vincere è il passaggio più complicato da compiere. Perché presuppone un allenamento mentale allo stress. Allo stress di vincere. È la condanna a vincere che ti mangia le energie e ti divora le cellule nervose. Ma è la stessa condanna che ti facilita il percorso, ti fa sorvolare sul mezzo e lascia che ti concentri sul fine. Non è un passaggio di poco conto. Se ci riflettiamo, sono cinque anni che lavoriamo a questo salto di livello. Che non può avvenire per opera e virtù dello spirito santo. Non si vince per caso e non si perde per caso. Ma siamo lì, da anni stiamo lavorando a questo scarto di mentalità. È da anni, almeno cinque, che siamo nell’elite italiana e nel gruppo degli outsider europei subito dietro ai mostri sacri. Non è vero, come si sente dire a Napoli da cinque anni, che o accade quest’anno o non accade più. Perché poi è sempre accaduto di nuovo. Siamo sempre lì, o in Italia o in Europa. Siamo tra le squadre più forti ma non ci percepiamo come tali. Ci percepiamo sempre come imbucati. E io insisto sull’ambiente perché è anche l’ambiente a influenzare la squadra. Ormai siamo a tre allenatori e non può essere un caso.

Detto questo, siamo a febbraio e siamo secondi in campionato a un punto dalla Juventus e abbiamo perso l’andata dei sedicesimi di Europa League 1-0 in trasferta contro il Villarreal. Le energie le abbiamo per giocarci entrambe le competizioni fino alla fine. Siamo noi che non abbiamo quelli mentali per seguirle entrambe fino alla fine con la paura di perderle. Cosa voglio fare da grande (parafrasando Trapani)? Contribuire ad avere una squadra e un pubblico che si giocano sempre tutto, che non hanno paura di nessuno e che hanno l’obiettivo di vincere e di migliorarsi. In Italia, in Europa e sulla luna. Senza Colonne d’Ercole.

ilnapolista © riproduzione riservata