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Quando il Napoli conquista le aule giudiziarie

«Trovo assolutamente legittimo che un giudice ostenti il proprio essere tifoso e che arrivi in udienza arrabbiato se la sua squadra ha perso o euforico se ha vinto» . Claudio Botti, stimato penalista e appassionato supporter azzurro, sdogana il tifo in Tribunale, luogo in genere concepito come austero e scevro di emozioni. Botti, che nel maggio del ’ 91 organizzò il convegno — evento «Te Diegum» , interviene all’indomani dell’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno dal gip Tullio Morello: il magistrato, attivissimo tifoso anche su Facebook, rivendicava con orgoglio la propria fede e confidava debolezze e manie, come quella di andare in udienza con una cravatta azzurra il giorno dopo una vittoria importante. A sua volta, all’indomani della vittoria contro la Juve, il pm Antonello Ardituro ostentava in ufficio una maglietta autografata di Cavani.
Avvocato Botti, il tifo fa il suo ingresso ufficiale in Tribunale…
«è un bene. Il calcio fa il miracolo di stemperare i conflitti forensi».
Accade ora perché il Napoli sta finalmente andando bene?
«La svolta si ebbe proprio con il Te Diegum vent’anni fa: quel convegno servì a liberare le emozioni. Per la prima volta si superò ogni tipo di conflitto».
Nel senso che prima ci si vergognava un po’, in certi ambienti, di amare una squadra?
«Proprio così. Tuttora, in certi ambienti, il calcio è considerato una passione troppo prosaica, dunque si avverte l’esigenza, diciamo così, di nobilitarla».
Lei, invece, non la pensa così.
«Certo che no. Il tifo è una passione irrazionale che va vissuta per quello che è, senza giustificazioni. Non dobbiamo vergognarcene».
Apprezza, dunque, i magistrati che non ne fanno mistero?
«Certo: e sono tanti!».
Qualche nome?
«Di sicura e provata fede napoletana Aliperti, Palumbo, Picardi, che ora è passato a Santa Maria (ed è entrato nella giunta nazionale dell’Anm, ndr). Azzurri anche il presidente del Tribunale, Carlo Alemi, e Bruno D’Urso, presidente aggiunto dell’ufficio gip. Di Ardituro sappiamo già. Poi ci sono quelli che tifano per altre squadre: il procuratore aggiunto Giovanni Melillo, per esempio, è un acceso sostenitore dell’Inter. Anche il sostituto Antonio D’Alessio (il pm del caso Ambrosio, ndr) è un accanito tifoso interista: nella stanza ha appeso una maglia nerazzurra, e come suoneria del telefonino ha scelto l’inno della squadra».
Lei crede che la forte passione per una squadra possa arrivare a condizionare un giudice nelle sue decisioni?
«In genere no, ma un’eccezione c’è».
Ci spieghi.
«Penso al processo Calciopoli (Botti difende Innocenzo Mazzini, ex vicepresidente della Federcalcio, ndr). Il caso ha voluto che sia stato assegnato a un collegio di sole donne: presidente Teresa Casoria, consiglieri maria Pia Gualtieri e Francesca Pandolfi. Tre magistrati che, secondo me, non si sono mai particolarmente interessati al calcio: e questo è un bene, perché garantisce un’assoluta imparzialità. Sono convinto, invece, che qualche altro giudice sarebbe caduto in tentazione. O addirittura che qualcuno avrebbe dato chissà che per celebrare il dibattimento».
A parte Calciopoli, capita spesso che durante le udienze si parli di calcio con i magistrati?
«Capita e in molti casi serve a sdrammatizzare situazioni di tensione, a rilassare i toni» .
Titti Beneduce (Corriere del Mezzogiorno)

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