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Sinner Djokovic, ovvero uccidere il padre

Le successioni devono avvenire sul campo e con spargimento di sangue. Nel caso di Novak, è un processo lungo. Ma oggi è stata una pagina storica

Sinner Djokovic, ovvero uccidere il padre
Italy's Jannik Sinner (R) greets Serbia's Novak Djokovic after winning the second men's singles semifinal tennis match between Italy and Serbia of the Davis Cup tennis tournament at the Martin Carpena sportshall, in Malaga on November 25, 2023. (Photo by JORGE GUERRERO / AFP)

Sinner Djokovic, ovvero uccidere il padre

Uccidere il padre. Solo così avviene pienamente la successione. È quel che accaduto a Malaga. In un pomeriggio indimenticabile per il tennis non solo italiano. Per il tennis punto. Ed è successo in Coppa Davis che non è solo una cornice pubblicitaria, o una ridotta della gloriosa manifestazione che fu. No. È successo in Coppa Davis che il figlio Sinner ha ucciso il padre Djokovic. Nel modo più feroce possibile per lo sport.

Lo ha ammazzato proprio quando l’adulto lo teneva immobilizzato col coltello puntato alla gola. Cinque a quattro, zero quaranta. Incredibilmente, in quel momento è al padre che sono tremate le gambe. Al figlio no. Il figlio saltellava sul posto. Guardava la panchina, la tribuna italiana, si caricava. Non lo dirà mai ma forse avrà passato in rassegna gli sguardi dei compagni che provavano a mentire, a dirgli che poteva farcela. La realtà è che non ci credeva nessuno. E lui, il figlio Jannik, lo sapeva benissimo. Ha servito la seconda palla e ha giocato. Ha sbagliato il padre. Una prima volta, con lo slice di rovescio. Lungo, come può accadere a qualche amatore. Una seconda. Poi la terza è stata una prova di forza mentale. Sinner ha attaccato lasciando un’autostrada alla sua destra. Ma a quel punto il padre Djokovic era già andato in confusione. Sinner ha rischiato ma è così che si compiono le imprese. Djokovic ha ignorato il lungolinea e ha tirato centrale. Il coltello alla gola non c’era più. È stato il momento in cui si sono invertiti i rapporti di forza.

Djokovic non è più tornato in controllo né del match né dell’incontro di Coppa Davis. È rimasto un paio d’ore a osservare la natura che stava facendo il suo corso. Un film che mai avrebbe immaginato di vivere. È rimasto in trance per buona parte del doppio, col figlio che non esitava a bucarlo o a sparargli addosso. Senza pietà. Con quella ferocia agonistica che solo i predestinati non hanno timore né vergogna di mostrare.

Le successioni, per essere credibili, devono avvenire sul campo. Le incoronazioni per volere del monarca uscente non hanno senso, non sono credibili. Sono decisioni nepotistiche. Nello sport – in realtà non solo nello sport – il cambio della guardia deve avvenire sul campo. In questo caso non possiamo dire che Djokovic sia stato detronizzato. Questo film lo avevamo già visto dopo la finale di Wimbledon persa contro Alcaraz. E un passaggio diluito nel tempo, Djokovic non abdica dall’oggi al domani. Ma certo dopo oggi, dopo aver vinto con tre match-point annullati, la sudditanza psicologica non ha più ragion d’essere. Resta il formidabile tennista, probabilmente il più forte di ogni tempo, ma è battibile. È vulnerabile. E, soprattutto, non avrà più quall’aura di invincibilità. Sinner-Djokovic a Malaga, in Coppa Davis, è una pagina di sport. Come Indurain che dopo anni di dominio andò in crisi al Tour de France. E come tante altre giornate come questa. Perché capita più spesso di quanto crediamo che i figli uccidano i padri.

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