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Alessandro Haber: «Nanni Moretti mi disse: “ceniamo insieme, ma senza parlare di donne e di calcio”»

Al Corsera: «Non mi chiama più, ne ho sofferto. Da bambino ho vissuto a Tel Aviv, ero in una scuola con ebrei e musulmani. Nessun conflitto»

Alessandro Haber: «Nanni Moretti mi disse: “ceniamo insieme, ma senza parlare di donne e di calcio”»
Mc Roma 16/10/2022 - Festa del Cinema di Roma / foto Mario Cartelli/Image nella foto: Alessandro Haber-Giovanni Veronesi

Alessandro Haber intervistato dal Corriere della Sera.

Anzitutto come sta?
«Meglio, della stampella non so se potrò liberarmi, ho 76 anni, i fisioterapisti mi hanno detto: non pensavamo di vederla in piedi. Per un anno e mezzo ho fatto tutti i giorni piscina e fisioterapia. È stata dura. Ero depresso. Una notte ho sognato di essere Tarzan che salva i migranti».

Ha fatto 150 film.
Alessandro Haber: «Con Bellocchio, La Cina è vicina, il mio debutto, avevo 18 anni. Pupi Avati mi diede il primo ruolo da protagonista, poi Monicelli, Nanni Loy, Nuti, il mio amico Veronesi… Con chi tornerei subito tra Pieraccioni e Moretti? Con Nanni. Lo amo. Mi ha voluto in Sogni d’oro. Faceva cinquanta ciak per una scena. Era venuto a vedermi a teatro in Dialogo di Natalia Ginzburg. Mi disse: ceniamo insieme, solo noi due, e non parliamo di donne e di calcio. Ho sofferto che non mi abbia più richiamato. Ha preso spesso Silvio Orlando, attore che adoro. Un giorno Nanni, quando gli ho detto ma perché non mi hai più chiamato, ha bofonchiato qualcosa che non ho capito. Passo per rompiscatole. Io le dico le cose. Poi torno, mi scuso, si ricomincia, mi piace inventare, mettermi in discussione. Si sparse ’sta voce perché sono esuberante. Sono un emotivo costruttivo, come avrei potuto fare 150 film e tanto teatro?».

La sua infanzia in Israele.
«Mio papà, un ebreo aperto, lasciò la Romania, dov’era nato, e con mia madre, cattolica, e qualche parente decise nel 1947, poco dopo la mia nascita a Bologna, di andare in Israele, prima che nascesse lo Stato ebraico. Erano due mondi diversi. Si adattarono a fare lavori umili, lei la domestica, lui il muratore, il tassista… Ho vissuto i miei primi 9 anni a Tel Aviv. Andavo in una scuola di Jaffa frequentata da ebrei e musulmani. Non c’erano conflitti. La violenza era dei maestri che mi picchiavano col battipanni perché ero ribelle, incontenibile, svogliato e non studiavo. Volevo far l’attore fin da piccolo».

Com’era Tel Aviv?
«Arrivava gente da tutto il mondo. Io vivevo per strada, scalzo, a petto nudo. C’erano due bande che si fronteggiavano, tipo I ragazzi della via Pal. Non c’entrava la religione. Costruivamo fucili con pezzi di legno e ce le davamo. Ricordo un campo a conca, quando pioveva e si riempiva d’acqua giocavamo ai pirati; ricordo i soldati inglesi, in attesa di rimpatriare, nelle tende, con le lampade a olio. Il conflitto di oggi? Tutto mi sembra assurdo, impensabile. Sogno un mondo alla John Lennon. I palestinesi non stanno con Hamas. Se fossi Netanyahu non mi vendicherei, sorprenderei il mondo». 

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